Non ho mai conosciuto di persona Giovanni Bensi eppure, appena ho saputo della sua scomparsa – avvenuta domenica sera a Merano – ho sentito subito l’impulso di scrivere di lui, quasi si trattasse un amico.
Dopo una lunga malattia – prima il Parkinson, poi il cancro – ci ha lasciati uno dei più grandi conoscitori del mondo (post-) sovietico in Italia. Aveva 77 anni. Un compagno di viaggio storico di East Journal, che ha pubblicato per noi oltre un centinaio di articoli fra il 2011 e il 2015, ma anche di Osservatorio Balcani e Caucaso e altri progetti. Giornalista e scrittore prolifico, non ha mai smesso di lavorare e pubblicare, neanche negli ultimi anni della sua vita. Un patrimonio, quello dei suoi scritti, che invitiamo i lettori a riscoprire nel nostro archivio, e che è stato e resterà un punto di riferimento importante per noi colleghi più giovani.
Chi l’ha conosciuto, parla di una persona mite e modesta, ben lontana dalle pose narcisistiche e dall’arroganza di tanti colleghi e esperti d’area, presunti o reali.
Nato a Piacenza nel 1938, Bensi ha studiato lingua e letteratura russa alla Ca’ Foscari di Venezia e poi all’Università Lomonosov di Mosca. E proprio nella capitale sovietica, nel 1963, Bensi fu stato arrestato dal KGB con l’accusa di aver distribuito volantini antisovietici. Passò 20 giorni in carcere alla Lubjanka, sede dei famigerati servizi di sicurezza dell’URSS, per essere poi deportato. Una conoscenza fuori dal comune del russo, la sua, che si accompagnava a quella di diverse altre lingue. Una conquista tanto più preziosa – soprattutto per i giornalisti della sua generazione – che gli ha permesso di guardare oltre all’Italia, a un orizzonte più ampio.
Dal 1972 al 2002 è redattore e poi commentatore capo della redazione in lingua russa dell’americana Radio Free Europe/Radio Liberty, prima a Monaco e poi a Praga. Dal 1991 è corrispondente per la Russia e la CSI del giornale cattolico Avvenire. Ha collaborato inoltre con il quotidiano russo Nezavisimaja gazeta – quello di Anna Politkovskaja, per intenderci. È autore di libri importanti, sulle cui pagine cui molti di noi sono cresciuti, fra i quali ricordiamo “Mosca e l’Eurocomunismo”, “Allah contro Gorbaciov”, “L’Afghanistan in lotta” e “La Cecenia e la polveriera del Caucaso”.
Lascia inoltre un ultimo volume, “Il mito del Califfato”, ancora inedito, in uscita fra alcuni mesi per le Edizioni Sandro Teti.
Si è occupato a lungo di questioni religiose, e soprattutto di Islam e minoranze nei territori dell’ex Unione Sovietica. Un terreno – inutile dirlo – rimasto perlopiù inesplorato in Italia, sia a livello giornalistico che accademico, con poche eccezioni. Un impegno, quello di Bensi, su sentieri spesso poco battuti, che ha dato inoltre un impulso importante alla conoscenza di luoghi troppo spesso trascurati come il Caucaso e l’Asia Centrale.
Lascia una moglie, Angela, due figli, Elena e Nicola – cui vanno le nostre più sentite condoglianze – e un’opera che appartiene a noi tutti, e che sarà bene preservare. Grazie a Giovanni Bensi, oggi il nostro mondo è un po’ più ampio, meno oscuro e indecifrabile.
Ti sia lieve la terra.