“Con il vostro voto avete creato una nuova atmosfera”. Con questo tweet il presidente iraniano Hassan Rohani ha salutato il risultato elettorale del 26 febbraio. Un risultato che, di fatto, premia la sua politica di apertura verso l’Occidente e il suo impegno per la costruzione di una nuova potenza mediorientale.
Il parlamento della Repubblica islamica – il majlis – cambia volto grazie all’affermazione dei deputati filo-Rohani. I riformisti conquistano il 30% dei seggi, gli indipendenti il 17, mentre i conservatori-fondamentalisti che dominavano il precedente majlis e che hanno boicottato l’accordo sul nucleare, ottengono il 40% delle preferenze. Ancora da assegnare il 13% dei seggi, dato che in diversi collegi elettorali nessun candidato ha superato la soglia di sbarramento del 25%. Ballottaggio previsto a fine aprile.
Entrano poi in parlamento 15 deputati donne, il numero più alto dal 1979. Inaspettata l’esclusione del capolista dei conservatori Gholam-Ali Hadad-Adel, consuocero dell’attuale Guida suprema, Ali Khamenei.
L’affluenza è stata buona, più del 60% ha votato per eleggere, oltre ai membri del majlis, quelli dell’Assemblea degli Esperti. Tra i compiti di quest’assise, composta da 88 religiosi, l’elezione della Guida suprema, massima carica politica e religiosa del Paese, e il controllo del suo operato. Anche qui Rohani ha ottenuto un successo: è stato eletto lui stesso insieme al suo alleato Akbar Hashemi Rafsanjani, ex presidente della Repubblica islamica. Restano fuori, invece, due importanti ayatollah conservatori, Mohammad Yazdi, capo uscente dell’assemblea degli Esperti, e Mohammad Taghi Mesbah Yazdi, principale ispiratore della politica dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad.
Il significato dell’esito delle elezioni in Iran
Non è semplice interpretare il risultato di questa tornata di elezioni in Iran. Certamente non è sbagliato affermare che gli iraniani hanno confermato la fiducia nei confronti del proprio Presidente. Gli effetti positivi dell’accordo sul nucleare, fortemente voluto da Hassan Rohani, devono ancora farsi sentire, eppure la maggioranza dei cittadini e dei giovani è ottimista e crede nel futuro di un nuovo Iran.
Ma se si analizza la geografia del voto emergono alcuni elementi interessanti. Nella capitale, il successo della lista della “Speranza”, composta da riformisti e sostenitori moderati di Rohani, è stato schiacciante, con 30 seggi su 30 ottenuti in Parlamento e 15 su 16 nell’Assemblea degli esperti. Di contro, nelle campagne e nelle aree rurali il voto continua a premiare i conservatori.
Parlare di vittoria dei riformisti sui conservatori appare fuorviante e frutto di un’interpretazione del voto prettamente “occidentale”. Anche perché i conservatori hanno comunque ottenuto il 40% dei seggi e i riformisti, da soli, il 30%. Ma insieme agli indipendenti si profila una maggioranza moderata.
«La classe dirigente iraniana è molto più composita e raffinata di quanto si pensi», spiega Nima Baheli, analista geopolitico iraniano. «A mio avviso tutti gli schieramenti lavorano in maniera differente per l’interesse nazionale. La differenza è che a Rohani compete il compito di interagire con l’Occidente, mentre a coloro che si rifanno a Khamenei tocca quello di relazionarsi con l’Oriente». Forse è più corretto leggere nel risultato elettorale di queste legislative una battaglia tra chi sostiene la politica di apertura verso l’occidente dopo la firma dell’accordo sul nucleare e chi vi si oppone.
Perché si tratta di un risultato significativo
Innanzitutto, il risultato che premia Rohani è inaspettato perché la maggior parte delle figure di spicco del fronte riformista era stata esclusa dal Consiglio dei guardiani. L’organismo, infatti, che ha il compito di sorvegliare il parlamento e ha il potere di veto sulle candidature, aveva bocciato circa la metà dei 12mila aspiranti, facendo una vera e propria “strage” tra i riformisti. Una mossa che ha portato poi alla nascita di un’alleanza con i moderati all’interno della lista “per la speranza”. Inoltre, il sistema elettorale iraniano privilegia il voto delle campagne, dove i conservatori sono appunto più forti, rispetto al voto delle città. Gli 8 maggiori centri urbani del Paese, dove vive circa la metà degli 80 milioni di iraniani, esprimono soltanto 57 dei 290 seggi del majlis.
Ecco perché si può parlare di vittoria di riformisti e moderati: alleandosi con gli indipendenti potrebbero formare una nuova maggioranza più favorevole alle riforme politiche, economiche e sociali sostenute dal presidente Hassan Rohani. Nessuno alla vigilia delle elezioni in Iran avrebbe scommesso su questo risultato. I conservatori, inoltre, portano a casa una serie di esclusioni importanti; oltre al capo dei conservatori Haddad Adel, resta fuori dal Parlamento anche il deputato Hosseinian, strenuo oppositore dell’accordo sul nucleare, che aveva dichiarato: «I negoziatori iraniani avrebbero dovuto essere cementati in un reattore di plutonio».