Il recente rapporto annuale sulla situazione in Ucraina, realizzato da Amnesty International, conferma gli abusi delle autorità russe in Crimea ai danni della popolazione tatara, abusi che su queste colonne abbiamo più volte denunciato. Il rapporto di Amnesty International scrive: “Non sono state condotte indagini efficaci sui sei casi di sospetta sparizione forzata di attivisti tatari di Crimea, avvenuti nel 2014, e per un caso confermato di rapimento, tortura e uccisione. Ciò è avvenuto nonostante le molte prove a disposizione, incluse videoregistrazioni, suggerissero chiaramente che i paramilitari filorussi della cosiddetta Forza di autodifesa della Crimea erano responsabili di almeno alcuni di questi crimini”.
I tatari sono l’unica popolo autoctono della penisola benché, a seguito della deportazione operata dai sovietici, oggi solo il 12% della popolazione sia tatara. I tatari, di origine turcica, si trovano nella penisola dai tempi della dominazione ottomana e – fin dai tempi della conquista russa della Crimea – hanno subito violenti tentativi di russificazione e una feroce discriminazione culminata con la falsa accusa di essere stati collaborazionisti dei nazisti, accusa che è valsa una deportazione che costò migliaia di vittime. L’annessione della Crimea alla Russia putiniana è coincisa con una ripresa delle discriminazioni e della conseguente opposizione dei tatari alle autorità russe. Opposizione che si è sviluppata in un movimento di resistenza civile e che ha dato luogo anche a episodi di sabotaggio nei confronti di quello che viene percepito come un occupante.
“La comunità tatara di Crimea – prosegue il rapporto – è stata particolarmente colpita: le sue manifestazioni pubbliche sono state regolarmente vietate, i mezzi d’informazione in lingua tatara sono stati costretti a chiudere e i loro leader sono stati sottoposti a continue perquisizioni domiciliari e hanno subìto azioni penali e detenzione per motivi politici”. Ai tatari è impedita la libertà d’espressione, la libertà di associazione politica e la possibilità di rivendicare, attraverso strumenti pacifici, i propri diritti. “Il mejlis, un organo rappresentativo eletto dai membri della comunità dei tatari di Crimea, ha subìto ulteriori rappresaglie. Il suo attuale leader, Ahtem Čiygoz, è stato arrestato il 29 gennaio con l’accusa di aver organizzato “disordini di massa” il 26 febbraio 2014” prosegue il rapporto. “Il canale televisivo in lingua tatara ATR è stato costretto a chiudere le trasmissioni il 1° aprile, alla scadenza del termine per la nuova richiesta di registrazione ai sensi delle leggi russe. L’emittente aveva chiesto la registrazione per almeno quattro volte ma le era stata sempre negata arbitrariamente. ATR ha ripreso le trasmissioni dall’Ucraina continentale ma i suoi giornalisti non sono più stati in grado di lavorare apertamente in Crimea”.
Particolarmente eloquente è il caso di Leonid Kuz’min, insegnante di storia, che ha perso il lavoro a seguito di un intervento della polizia “anti-estremismo” russa che lo ha arrestato e interrogato dopo la sua partecipazione a un corteo in memoria di Taras Shevcenko, poeta nazionale ucraino, avvenuto nel giorno del 201° anniversario della nascita del poeta. Nella Crimea “russa” basta poco per essere perseguitati, ma le violazioni dei diritti umani non finiscono qui. Oleg Sencov e Alexander Kolčenko sono due tatari che fanno parte del movimento anti-occupazione che, secondo Mosca, sarebbe un movimento terroristico e per questo i due sono stati processati in Russia, contrariamente allo stesso diritto russo, e condannati a pene decennali.
I tatari hanno così cominciato a reagire con azioni di sabotaggio. La matrice tatara non è stata fin qui formalmente riconosciuta ma tutti gli elementi convergono a far pensare che siano loro gli autori dei sabotaggi. Il 20 settembre scorso attivisti tatari hanno realizzato posti di blocco alla frontiera terrestre con la Crimea, fermando la consegna via terra di cibo e altri beni dall’Ucraina continentale. Il 20 novembre, quattro linee di energia elettrica che fornivano più del 70% dell’elettricità alla Crimea sono state fatte saltare da sconosciuti, causando un blackout in tutta la penisola. Un’azione che ha lasciato la Crimea al buio dimostrando la debolezza delle autorità locali e l’impotenza del Cremlino nel garantire un sufficiente livello di benessere alla popolazione della penisola.