Il film “Il figlio di Saul” (in ungherese: Saul fia) quest’anno è stato un vero e proprio asso pigliatutto: dopo aver vinto il Grand Prix Speciale della Giuria a Cannes e il Golden Globe per Miglior Film Straniero, la pellicola del regista ungherese si porta a casa anche l’ambito premio Oscar al miglior film straniero.
Il film debutto di Nemes ha come protagonista Saul Ausländer (interpretato da un eccezionale Géza Röhrig), prigioniero ad Auschwitz e membro del Sonderkommando, gruppo di prigionieri costretti ad assistere agli orrori dell’opera di sterminio dei nazisti. Un giorno, mentre pulisce le camere a gas, assiste all’uccisione da parte delle guardie naziste di un bambino, miracolosamente scampato al gas tossico Zyklon B. L’uomo immediatamente riconosce la vittima come suo figlio, decidendo così di trovare un rabbino nel campo per dargli una degna sepoltura.
Il volto del protagonista è sempre al centro del film, cupo e quasi indecifrabile, mentre gli orrori, lo sterminio, la violenza e la morte fanno quasi da sfondo alle vicende di Ausländer. Pochissime le inquadrature laterali e ancor più sporadici i dialoghi. La pellicola gioca molto sulle emozioni e sui gesti, creando un’atmosfera cupa che perdura per tutto il film.
Il film ha ricevuto da subito critiche positive, soprattutto riguardo alle tecniche di regia utilizzate. Tasha Robinson su The Verge loda la capacità del regista e del direttore della fotografia Mátyás Erdély di rendere lo spettatore partecipe in prima persona degli orrori e degli incubi vissuti dal protagonista. Persino Claude Lanzmann, autore del monumentale documentario “Shoah”, ha dato un giudizio positivo sull’opera, definendola “l’anti Schindler’s List”. Anche in Italia “Il figlio di Saul”, uscito nelle sale il 21 gennaio 2016, ha riscosso un ottimo successo e ricevuto diversi pareri positivi.
Ricevendo il premio, il regista ha ringraziato Géza Röhrig, l’attore principale, insieme a tutti i membri del cast e della troupe per aver creduto nel suo progetto. Commosso, ha poi aggiunto: “Anche nelle ore più buie può esserci una voce dentro di noi che ci permette di rimanere umani. É questa la speranza di questo film”.
Il cinema ungherese si porta così a casa il suo secondo Oscar al film straniero, il primo vinto nel 1982 dal film “Mephisto” di István Szabó.