Nella riunione tenutasi a Zagabria il 18 febbraio scorso, i delegati rappresentanti i reparti di polizia di Macedonia, Serbia, Croazia, Slovenia e Austria hanno deciso di modificare il loro approccio nei confronti dell’emergenza profughi. Se il 2015 aveva portato agli onori delle cronache la rotta balcanica come nuova via di percorrenza dei rifugiati mediorientali verso l’Europa, il 2016 ha registrato un elevato numero di ingressi nonostante le restrizioni già attuate dai vari governi nazionali. La Macedonia, infatti, aveva deciso di permettere l’ingresso solo a persone esclusivamente in possesso del passaporto siriano, afghano o iracheno, bloccando alla frontiera meridionale con la Grecia un elevato numero di persone.
Dopo che il Ministero dell’Interno ha registrato l’ingresso di 86.421 persone nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2016 e il 21 febbraio, la Macedonia ha deciso di rafforzare non solo la barriera al confine greco, ma anche di restringere la concessione dei visti di transito per i rifugiati. I cittadini provenienti dall’Afghanistan, infatti, non sono più considerati alla stregua dei siriani o degli iracheni, rimanendo quindi bloccati alla frontiera greco-macedone. Un calo degli ingressi dei cittadini afghani è già stato registrato nelle giornate del 20 e 21 febbraio, dove soltanto 11 cittadini provenienti dall’Afghanistan erano stati ammessi in Macedonia.
Al vertice di Zagabria non si è solo deciso di bloccare l’ingresso ai profughi afghani. I delegati delle polizie hanno infatti deciso di coordinare lo spostamento dei profughi ammessi in Macedonia dal confine greco fino all’Austria, permettendo con facilità il passaggio dei mezzi di trasporto per rendere più veloce la procedura. I rifugiati, inoltre, verranno schedati da ogni paese per permettere un controllo incrociato delle polizie nazionali. La necessità di giungere a un accordo comune è stata reputata necessaria dopo che l’Austria ha deciso di imporre un limite all’accoglienza dei profughi, aprendo il proprio territorio a un massimo di 3.200 persone.
La decisione di irrigidire i controlli da parte dei paesi della ex Jugoslavia ricadrà interamente sulla Grecia e la Turchia. Il primo, dopo non essere stato invitato al summit del V4, è stato accusato dal primo ministro ungherese Viktor Orbán di non applicare il necessario filtro alle proprie frontiere, agevolando ulteriormente il transito dei profughi, sostenendo come Atene avesse “fallito nella difesa dei confini Schengen”. Per quanto riguarda la Turchia, in attesa della firma definitiva dell’accordo con l’Unione Europea sulla materia, essa risentirà notevolmente di queste decisioni, dal momento che ospita già due milioni di profughi e dovrà incorrere nelle decisioni e nella burocrazia dei paesi balcanici. La Grecia, nonostante sia anch’essa colpita da tale crisi umanitaria, non è stata invitata né al vertice di Zagabria né al successivo summit di Vienna, dove hanno partecipato i ministri degli interni e degli esteri della Macedonia, Bulgaria, Kosovo, Serbia, Albania, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Slovenia e Repubblica Ceca, su invito dei loro omologhi austriaci Johanna Mikl-Leitner e Sebastian Kurz.
L’elevato numero degli ingressi di profughi in Grecia non sembra destinato a scendere, nonostante l’agenzia europea Frontex riporti che il numero dei profughi registrati nel mese di gennaio sia inferiore del 40% rispetto a quello del mese precedente. La causa di tale diminuzione va infatti ritrovata nelle condizioni meteorologiche del Mar Egeo, che ha impedito lo sbarco a un numero più elevato di persone sulle coste greche. Nonostante la firma del cessate il fuoco in Siria, la situazione non sembra ancora in procinto di migliorare.
Foto: Marko Djurica/Reuters