Si chiama uso politico della storia: discreditare e delegittimare vecchi e nuovi nemici politici agitando lo spauracchio della cospirazione, stavolta di stampo comunista. Protagonista di quella che sembra l’ennesima trovata del partito di governo a Varsavia, Diritto e Giustizia (PiS), è Lech Wałesa, l’operaio di Danzica noto in tutto il mondo per essere stato il leader del sindacato Solidarność.
A capo dell’inchiesta c’è l’Istituto della Memoria Nazionale (IPN), organo di stato fondato nel 1998, sospettato di essere vicino al governo e incaricato di indagare sui crimini compiuti contro la nazione polacca dal 1939 al 1989, anni in cui il paese fu sottoposto al controllo nazista prima e comunista poi. I documenti contenenti i capi d’accusa sono stati sequestrati dall’istituto lo scorso martedì nella casa di Maria Teresa Kiszczak, vedova di Czesław Kiszczak, ex ministro degli Interni comunista. Il presidente dell’IPN, Łukasz Kamiński, ha dichiarato che in essi sono contenute le prove attestanti che Lech Wałesa, nome in codice “Bolek”, collaborò con i servizi segreti del regime in cambio di denaro dal 1970 al 1976.
Non è la prima volta che il leader di Solidarność affronta tali imputazioni. Uscitone pulito qualche anno fa dinanzi alla corte, Wałesa aveva dichiarato nel 2011, in un’intervista al quotidiano britannico The Guardian, “di aver giocato con i servizi segreti per dare l’impressione di essere debole e non essere eliminato. Nemmeno per un minuto sono stato dalla loro parte”. Una firma, niente di più, per essere lasciato in pace. Così pare insomma. Alcuni continuano a definirlo contraddittorio, ma quello che oggi non favorisce l’ipotesi di genuinità degli atti è proprio la tempistica. Con un governo che grida facilmente allo scandalo e al complotto ogni qualvolta se ne critica l’operato, e che ha raccolto severe critiche dallo stesso Wałesa un paio di mesi fa, sembra che dietro la procedura d’indagine dell’IPN si nasconda ancora una volta la mano di Kaczyński. D’altronde il loro odio reciproco, risalente i tempi della transizione, non è un mistero né lo è la retorica di Diritto e Giustizia secondo cui alla fine del 1989 le élite comuniste si sono arricchite con l’aiuto dei leader corrotti di Solidarność. Non sono tardati ad arrivare i commenti dei ministri, orgogliosi di rimaneggiare a piacimento la storia del paese. Primo fra tutti quello di Mateusz Morawiecki, vice primo ministro e ministro dello Sviluppo, che alla Radio salta subito alla conclusione: “ovvio che Wałesa fosse un agente”.
La Polonia non è estranea ad atti “purificativi”. Con il collasso dei regimi comunisti, nell’Europa Centrale e Orientale sono stati adottati dei processi di lustrazione, più o meno severi, per allontanare i collaboratori del vecchio sistema dalle cariche di pubblica influenza. Il primo atto del genere fu adottato in Polonia nel 1998, ma con l’espressione “legge lustracja” si intende la legislazione progettata proprio dai gemelli Kaczyński nel 2006 con lo scopo di applicare il medesimo meccanismo a una vasta categoria di professioni. A quel tempo le disposizioni, molte delle quali dichiarate successivamente incostituzionali, furono contestate dai media e dalle organizzazioni dei diritti umani in quanto lesive delle libertà democratiche. Oggi quel dibattito ci ricorda quanto il PiS sia ossessionato dall’ottenere vendetta politica e incapace di avere una visione che vada oltre i meschini tentativi di asservire la storia al proprio immaginario. E in una conferenza dedicata alla revisione storica del paese, lo stesso Presidente Duda ha dichiarato: “la politica storica deve essere guidata dallo stato polacco come un elemento per la costruzione della nostra posizione internazionale”. Come se la Storia non costituisse evidenza ma mero mezzo da piegare a fini politici.
Foto: Gérard Rancinan, Corbis