Sabato 6 febbraio a Székesfehérvár, in Ungheria centrale, si è svolta una manifestazione alla quale hanno partecipato le organizzazioni di estrema destra della Nuova Guardia Ungherese, il “movimento giovanile delle sessantaquattro contee” e l'”esercito dei fuorilegge” (Betyársereg). All’evento era stato invitato anche Klaus Grotjan, ex membro delle SS, che non ha potuto parteciparvi per questioni di salute. Secondo gli organizzatori la manifestazione commemorava l’anniversario del tentativo del 1945, da parte dei soldati nazisti, di uscire dal castello di Buda, all’epoca sotto assedio da parte delle truppe sovietiche.
Sdegno, polemiche e indagini. Le reazioni alla marcia dei neonazisti
L’evento ha suscitato sdegno e polemiche, in primo luogo nel sindaco della cittadina, András Cser-Palkovics, che ha biasimato: “l’estrema destra per aver importato tensioni da Budapest con il pretesto di un evento storico che non ha nulla a che fare con la città”.
Il distaccamento locale della Coalizione Democratica ha condannato questa “marcia dell’odio”, facendo notare che il governo ungherese è obbligato a prevenire questi eventi sulla base del trattato di Parigi del 1947. András Heisler, a capo della Federazione delle Comunità Ebraiche Ungheresi (Mazsihisz), si è lamentato con il ministro degli interni Sándor Pintér, che ha permesso lo svolgimento di un simile evento, chiedendogli di vigilare in maniera tale che una cosa simile non si ripeta più in futuro.
I socialisti e il partito liberale hanno fornito ricostruzioni dell’evento alla polizia, che ha deciso di indagare sull’accaduto. “Dialogo per l’Ungheria” ha chiesto che l’indagine sia collegata ad un’altra a più ampio spettro che coinvolga i movimenti neonazisti, riportando il ritrovamento di una pietra con il simbolo delle croci frecciate in una foresta vicino a Budapest.
Neonazi contro antifa. Tensioni a Budapest
Sabato 13 febbraio un evento con lo stesso intento del precedente si è tenuto a Budapest. La manifestazione ha visto qualche centinaio di partecipante, molti dei quali indossavano uniformi della Seconda Guerra Mondiale e cantavano gli inni nazionali della Germania e dell’Ungheria prima del 1945. Questa celebrazione ha visto, però, una contro-manifestazione di un centinaio di antifascisti che suonavano tamburi, corni e cantavano: “andate a casa nazisti!”. I due gruppi erano separati da un cordone di polizia.
Venerdì 12, invece, la Federazione della Resistenza ungherese dei combattenti e antifascisti (MEASZ) ha commemorato il 71esimo anniversario dalla conclusione della Seconda Guerra Mondiale a Budapest. I centodue giorni di assedio di Budapest da parte dei sovietici sono stati una delle campagne più sanguinose della guerra, conclusasi il 13 febbraio del ’45 con la resa incondizionata della città. Circa duecentomila persone sono morte, inclusi trentottomila civili. Quarantamila edifici sono stati distrutti, inclusi i sette ponti sul Danubio che i tedeschi in ritirata hanno fatto saltare.
Il presidente del MEASZ, Vilmos Hanti, ha ricordato il ruolo della Resistenza ungherese: “Sebbene sia messo in dubbio da molti, c’è stata una resistenza ungherese di combattenti che hanno partecipato alla liberazione di Budapest”, avvertendo, inoltre, del pericolo della sopravvivenza dell’ideologia fascista nella vita di tutti i giorni, riferendosi alla recente decisione [poi ribaltata, ndr] di erigere a Székesfehérvár una statua a Bálint Hóman, un controverso ministro della cultura durante la guerra, favorevole alla Germania e autore di norme antisemite.
Ciò che colpisce di più resta il coinvolgimento che queste manifestazioni creano a più di settant’anni dalla conclusione di eventi a cui la maggior parte dei partecipanti non ha preso parte. Resta difficile capire dove sia il confine tra la strumentalizzazione ai fini del dibattito politico e la reale convinzione. Perché nonostante tutti i morti e il dolore, c’è ancora chi nell’odio ci crede.