Se vi trovate in Croazia e accendete la tv sul canale CMC (Croatian Music Channel) prima o poi vi capiterà sicuramente di imbattervi in una canzone dei Daleka Obala, rockband croata che andava per la maggiore durante gli anni ’90. Tra quei 5 ragazzotti spalatini si nasconde Zoran Ukić, papà di Roko, playmaker della nazionale croata con un passato in NBA e ultimo acquisto della faraonica campagna di rinforzo della Pallacanestro Cantù targata Dmitry Gerasimenko.
Roko Ukić nasce a Spalato nel 1984. Il padre Zoran, per ora, è solo un buon batterista, ma non ancora affermato a livello nazionale; ama il Jazz e stravede per Lenny White e, così, Roko di secondo nome farà Leni. Quando il piccolo Roko ha solo 4 anni, papà Zoran, con altri quattro amici, coi quali già da tempo suonava, fonda il gruppo dei Daleka Obala, destinato a monopolizzare prima le stazioni radio dalmate e poi quelle di tutta la nazione.
L’infanzia del futuro campione di basket però non è quella tipica del figlio di un membro di una rockband: «Man mano che io crescevo saliva anche la popolarità del gruppo di mio padre, ma si può dire che abbia condotto un’infanzia normale, lui era il batterista e quindi non finiva spesso sulle copertine dei giornali, così poteva camminare per strada tranquillo. Stavamo bene, ma non navigavamo nell’oro, vivevamo tutti in un modesto appartamento a Spalato». Roko comunque ha un’infanzia felice: «Mio padre mi iniziò alla batteria quando avevo appena 4 anni, una volta me la fece suonare anche durante un suo concerto davanti al pubblico. Si, si può dire che sono cresciuto a pane e batteria».
Il vero amore Roko però lo incontra nel 1992. Oltre alla musica, nel suo DNA c’è anche lo sport: la madre è stata giocatrice di pallavolo semi-professionista nella lega jugoslava. Ma voler fare sport a Spalato nei primi anni ’90 voleva dire innanzitutto tirare a canestro: la squadra locale, la Jugoplastika (che nel 1991 diventerà Pop84) sta vivendo la sua età dell’oro con tre Coppe dei Campioni e quattro campionati jugoslavi vinti consecutivamente. Il palazzetto cittadino è sempre tutto esaurito perché nessuno si vuole perdere le prodezze dei ragazzi di coach Boža Maljković.
La trafila nelle squadre giovanili di Roko è trionfale: il ragazzo guida la compagine a molti titoli giovanili e la gente inizia sempre più a identificarlo come il talento più interessante del basket giovanile croato, piuttosto che come il figlio di Zoran. Nel 2000, a soli 16 anni, debutta già in prima squadra: «Certo, non nego che comunque a Spalato tutti sapevano chi fosse mio padre, e quindi un po’ di curiosità c’era da parte di tutti. Ma in realtà quello che davvero creò attenzione fu il mio curriculum nei campionati giovanili, le aspettative derivavano da lì, ero giovanissimo e molto promettente». Una decina d’anni dopo l’epopea di Kukoč, Rađa e soci, Spalato è di nuovo in fibrillazione per un potenziale gioiello della palla a spicchi.
Roko nel frattempo ha abbandonato la batteria già da un po’ di anni per concentrarsi solo sui canestri, cosa che porta il nome inizia a girare sui taccuini dei general manager delle maggiori società europee, oltre a qualche osservatore NBA. A 21 anni arriva la chiamata dai baschi del Tau Ceramica Vitoria, all’epoca vicecampioni d’Europa in carica. Ed è in quel contesto, forse perché lontano da casa, che a Roko torna la passione per la batteria: «Quando vai all’estero inizi ad avere molto tempo libero, così ho deciso di procurarmi una batteria, mi aiuta a passare il tempo e scaricare le energie nervose, ormai sono anni che suono regolarmente 3-4 ore la settimana, è il mio ritaglio di tempo che dedico a me stesso». Nel 2010, dopo una stagione al Barcellona e una a Roma approda in NBA, prima ai Toronto Raptors e poi ai Milwaukee Bucks: «Paradossalmente le maggiori pressioni le ho sentite li, e ovviamente non per via di mio padre. Ma se sei croato e vieni dalla stessa città di Kukoč, beh, le aspettative sono quelle, bisogna saperci convivere».
Negli ultimi anni Roko ha girato le maggiori squadre europee, dal Fenerbahçe al Panathinaikos, per poi tornare in Croazia, a fare da chioccia ai giovani del Cedevita Zagabria in Eurolega. A inizio stagione ha passato due mesi a Varese, facendo letteralmente innamorare i tifosi che gli dedicarono uno striscione eloquente: Roko, Varese voli te puno (“Roko, Varese ti ama tanto”) e che si sono poi sentiti traditi per via del suo passaggio agli acerrimi rivali di Cantù: «La società è ambiziosa, mi piace il progetto, era la scelta migliore».
Insomma, in un mondo monopolizzato dall’hip-hop c’è ancora chi ama il rock: «Si, siamo in pochissimi, ma qualcuno c’è, non è importante, ho altre passioni che posso condividere coi miei compagni, per esempio quella per il calcio: sono un grande tifoso dell’Hajduk». E così, che sia seduto davanti a un batteria, suonando i The Queens of The Stone Age, o sul parquet, a dispensare assist, l’importante, per Roko, è che sia lui a dettare il ritmo.