Punizione collettiva dei civili, misure arbitrarie e uso sproporzionato della forza. Ben oltre i limiti di quella che dovrebbe essere un’operazione anti-terrorismo, e invece assomiglia sempre più a uno stato di perenne guerriglia urbana con la popolazione civile a pagare il prezzo più alto. Così Amnesty denuncia la durissima campagna militare dell’esercito turco contro i militanti curdi del Pkk nel sud-est del paese. La voce dell’organizzazione internazionale si va ad aggiungere a quella di più di 1000 accademici, turchi e non solo, che nelle scorse settimane hanno lanciato un appello per il cessate il fuoco e la ripresa del processo di pace.
Mesi di guerriglia urbana
È dalla fine del luglio 2015 che sono ripresi gli scontri tra esercito e Pkk. Con una differenza importante rispetto ai decenni passati: la lotta si è spostata dalle montagne alle città. Protagonista indiscussa è l’ala giovanile del Pkk, l’Ydg-h, che riesce a mantenere il controllo di interi quartieri respingendo gli assalti di esercito e forze speciali. A Cizre, Silopi, Diyarbakır sulle barricate salgono ragazzi giovanissimi. Col passare dei mesi la risposta di Ankara si è fatta più violenta. Da settembre le città del sud-est sono pattugliate da carri armati, l’esercito non si fa scrupolo ad usare artiglieria pesante e elicotteri. Palazzi sventrati, auto crivellate di colpi, teli anti-cecchino sono la nuova quotidianità. E la guerriglia urbana mette a rischio la vita di centinaia di migliaia di civili.
Le accuse di Amnesty
Amnesty parla di 200mila persone a rischio. Su tutti, combattenti e non, grava il peso di coprifuoco eterni. Il divieto di uscire di casa è di 24 ore al giorno e spesso si protrae per più di un mese. Vengono interrotti i servizi di base, non arrivano le medicine, le ambulanze non possono raccogliere i feriti. Morti e feriti che in molti casi non possono essere militanti ma davanti ai quali i militari non esitano a premere il grilletto. Bambini e anziani che non rappresentano una minaccia per i soldati. Perciò secondo Amnesty le autorità turche si stanno macchiando del crimine di punizione collettiva, che è espressamente vietato dal diritto internazionale consuetudinario.
“L’interruzione dell’erogazione di acqua e elettricità, insieme al pericolo di procurarsi cibo e assistenza medica mentre si è sotto tiro, sta avendo un effetto devastante sui residenti, ed è probabile che la situazione peggiori se non si trova una soluzione – dichiara John Dalhuisen, direttore di Amnesty per l’Europa e l’Asia centrale – In alcune aree, coprifuoco opprimenti che impediscono del tutto alla popolazione di lasciare le proprie case sono durati per più di un mese, di fatto ponendo interi quartieri in stato d’assedio. È fondamentale che le autorità turche garantiscano agli abitanti l’accesso al cibo e ai servizi fondamentali”
La repressione del dissenso continua
Intanto il governo turco continua a silenziare sistematicamente le voci critiche che si levano nel paese. L’accusa, per tutti indistintamente, è appoggio del terrorismo. Gli accademici turchi di cui si accennava prima sono stati arrestati (poi rilasciati). Per i giornalisti Can Dündar e Erdem Gül del quotidiano di opposizione Cumhurriyet è stato da poco chiesto l’ergastolo: sono sotto processo per aver pubblicato le prove del coinvolgimento dei servizi segreti turchi in un traffico di armi diretto verso la Siria. Cioè per aver fatto il loro lavoro. Zero pressioni anche dall’estero. Ue e Usa guardano alla Siria e hanno bisogno della Turchia: la prima per contenere i migranti, i secondi come alleato militare.