Spesso dimenticato e relegato in secondo piano nel dibattito politico intorno alla crisi ucraina, il capitolo relativo allo scambio dei prigionieri nel protocollo siglato nel febbraio 2015 è uno dei fattori che hanno rallentato la realizzazione di Minsk-2. Anche se la fase più calda del conflitto armato appare ormai alle spalle, il macchinoso processo di scambio dei prigionieri tra Kiev, Donetsk e Lugansk, non ha subito sviluppi significativi. Nonostante siano sempre più numerose le evidenze di torture e maltrattamenti subiti dai prigionieri (da entrambe le parti), testimoniate da numerosi dei quasi 3000 soldati liberati in due anni di guerra, rimangono svariati problemi che bloccano il rilascio di tutti i catturati.
Sovrapposizione di ruoli
Uno dei fattori che ha complicato le trattative legate al rilascio dei prigionieri è stata la sovrapposizione e la mancanza di una chiara gerarchia tra i vari organi statali e personalità coinvolte nel processo. Questo non ha solo favorito lo sviluppo di un’aperta rivalità tra i vari personaggi politici e i battaglioni paramilitari, ma anche una progressiva crescita di casi di estorsione nei confronti dei familiari dei prigionieri. Inoltre, sebbene negli ultimi mesi a Donetsk sia stato creato un organo centrale per lo scambio dei prigionieri, le trattative rimangono soggette all’influenza dei singoli comandanti e numerose personalità criminali, che hanno trovato terreno fertile tra Donetsk e Lugansk.
A Kiev sono due gli organi ufficiali che si occupano della questione. Il primo, guidato da Yuri Tandit, è il Centro per la liberazione degli Ostaggi dei Servizi di Sicurezza (SBU), mentre il secondo è costituito all’interno del Ministero della Difesa. Affianco a queste due, orbitano numerose altre strutture non governative che conducono trattative direttamente con i ribelli. Una di queste è l’organizzazione del Corpo degli Ufficiali, guidata dall’ex Generale Vladimir Ruban che, proprio grazie ai vecchi legami stabiliti durante il passato nell’esercito, è stato in grado di guadagnarsi il rispetto della leadership e dei numerosi comandanti a Donetsk e Lugansk. E’ stato proprio Ruban, che non ha mai risparmiato commenti negativi nei confronti dell’azione del SBU, a parlare dalla grande burocratizzazione all’interno delle strutture governative, colpevole di rallentare il processo di scambio dei prigionieri a causa di calcoli politici e del continuo rimpallo di responsabilità.
La mediazione di Medvedchuk
Quella legata ai prigionieri è divenuta, però, anche una questione politica. Molto discusso in questo senso è stato il ruolo di Viktor Medvedchuk come anello di congiunzione tra il gruppo di contatto trilaterale (Ucraina, Russia e OSCE) e i ribelli. I funzionari di Kiev, infatti, non conducono trattative direttamente con i separatisti (considerati ufficialmente come terroristi), fattore che crea innumerevoli difficoltà di comunicazione su un tema delicato come quello dello scambio dei prigionieri. La figura di Medvedchuk rimane però alquanto ambigua. Ex-capo dell’amministrazione presidenziale di Leonid Kuchma (2002-2005), figura chiave alle spalle di Viktor Yanukovich già prima della sua presidenza, Medvedchuk vanta importanti legami con i vertici del Cremlino e direttamente con Vladimir Putin (padrino di sua figlia più piccola). Accusato da molti di rappresentare, con il suo partito politico Ukrainian Choice (Украинский выбор), la “quinta colonna” del Cremlino, Viktor Medvedchuk ha avuto un ruolo centrale non solo nelle numerose trattative per lo scambio dei prigionieri comuni, ma anche nei fallimentari negoziati con Mosca per il rilascio di Nadiya Savchenko e Oleg Sentsov, detenuti in Russia come prigionieri politici.
Amnistia in cambio dei prigionieri
Le autorità di Donetsk e Lugansk rimangono restie nei confronti dello scambio dei prigionieri anche a causa del fallimento da parte di Kiev di garantire un’amnistia generale, prevista nel punto V degli accordi di Minsk. Leonid Kuchma, ex presidente e negoziatore per l’Ucraina nel gruppo trilaterale, ha di recente sottolineato come i prigionieri rappresentino una carta nelle mani dei ribelli con la quale stanno tentando di negoziare alcune importanti concessioni politiche. L’amnistia, appunto.
Sebbene non si hanno numeri precisi, secondo l’SBU ad oggi rimangono più di 130 soldati ucraini nelle mani dei ribelli e un numero indefinito, ma sicuramente più alto, di separatisti (o loro simpatizzanti) detenuti sul territorio ucraino. Anche il loro destino, come quello della complessa impalcatura di Minsk-2, appare sempre più legato ai difficili intrecci politici tra Kiev, Donetsk e Mosca.