Venerdì 15 gennaio la polizia turca ha arrestato almeno 27 accademici per aver firmato una petizione ritenuta anti-governativa. In arrivo provvedimenti simili per altri firmatari, numerose università hanno annunciato indagini punitive interne. “Ancora una volta l’autorità giudiziaria si muove dopo un esplicita condanna pubblica di Erdoğan, alimentando la sensazione che la giustizia sia pilotata”, riassume Dimitri Bettoni, corrispondente da Istanbul per Osservatorio Balcani e Caucaso. Ricostruiamo il quadro.
La petizione
Dissociandosi fin dal titolo (“Non saremo parte di questo crimine”) dall’azione governativa, i firmatari chiedevano ad Ankara la fine dell’offensiva militare in Kurdistan e il ritorno al tavolo di trattative con le forze curde, ripristinando la tregua iniziata nel 2013. Intervistato da Al-Jazeera, un firmatario ha sostenuto che proprio la spirale di violenza generata dal governo turco sta rinfocolando le spinte secessioniste della regione, rischiando di trasformarla nel Kosovo turco. Prima che il sito su cui firmare venisse oscurato già nel pomeriggio di venerdì, 1128 tra giornalisti ed accademici avevano aderito a questa obiezione civile collettiva. Ai membri dell’élite intellettuale turca e curda, si erano aggiunte personalità di rilievo internazionale, come Noam Chomsky, Slavoj Žižek e David Graeber.
La visione di Ankara
Un’analisi minuziosa del primo discorso di Erdoğan dopo l’attentato terroristico della settimana scorsa suggerisce che questa incriminazione collettiva segua indicazioni precise. A fronte di soli 44 secondi dedicati all’attentato, il presidente ha speso più di 10 minuti accusando i “cosiddetti intellettuali”. Con le loro firme, essi avrebbero giustificato il terrorismo del PKK (non menzionato nella petizione), macchiandosi di tradimento e dimostrando una mentalità colonialista nel chiedere l’intervento di osservatori internazionali. Il ministro degli esteri, Mevlüt Çavuşoğlu ha sintetizzato: “non c’è differenza tra sostenere il terrore economicamente o politicamente”. E una parte della popolazione sposa questa interpretazione: giovedì l’hashtag #1128katil (1128 assassini) è stato tra i trend di Twitter in Turchia, scrive la BBC. Di fronte al “serrate i ranghi” governativo, gli spazi di intermediazione politica si fanno sempre più stretti, specie per il partito HDP, finora il principale mediatore tra il PKK e Ankara.
Una svolta maccartista
Quest’operazione eclatante sembra inaugurare una stagione di caccia alle streghe. Seguendo la linea di Erdoğan (“chiunque benefici dello stato, ma è un suo nemico, deve essere punito”), sono molte le università che hanno annunciato indagini amministrative verso il proprio personale accademico; proprio l’ateneo di Kocaeli ha diffuso una nota scritta ribadendo il suo placet agli arresti. In questa campagna di stigmatizzazione ufficiale gli ultra-nazionalisti trovano una collocazione naturale: il criminale Sedat Peker ha plaudito all’iniziativa sul suo blog e studenti universitari appartenenti a gruppi di estrema destra, come i Lupi Grigi, si sono attivati nell’insultare e minacciare i firmatari, appendendo messaggi minatori alle porte dei loro uffici.
Molti osservatori paventano che si sia arrivati ad un punto di non ritorno: secondo Human Rights Watch Turkey, gli accademici costituiscono un “bersaglio nuovo” dell’opera di criminalizzazione del dissenso attuata dal governo Erdoğan, finora riservata agli attivisti di piazza. L’ambasciatore americano John Bass ha dichiarato che sono pressioni che hanno un “effetto agghiacciante sul legittimo discorso politico”. Questo giro di vite dentro l’università non può non evocare precedenti spettrali, come il giuramento di fedeltà al fascismo imposto ai docenti universitari nell’agosto del 1933.
Il quadro legislativo
Questi procedimenti giudiziari non violano la legge. Nel 2008 il parlamento turco aveva approvato un depotenziamento del celebre articolo 301 del Codice Penale riguardante le offese all’identità turca e agli organi istituzionali, la cui vaghezza era stata spesso utilizzata per reprimere il dissenso. Alla modifica di questo articolo, che le istituzioni europee avevano interpretato come il primo passo verso la depenalizzazione del reato d’opinione, non è però seguita la sua eliminazione, mantenendo un margine di discrezionalità sufficientemente ampio da fornire una base normativa anche a questi arresti. Inoltre, chi parla di “deriva autoritaria” della Turchia, come lo scrittore Orhan Pamuk (processato nel 2005 proprio in base all’articolo 301), si riferisce anche al “pacchetto sicurezza” proposto dal governo un anno fa, criticato fermamente anche dalla Commissione Europea.
Foto: Giulia Stagnitto