STORIA: Cantori e cantici della Grande Guerra

La Grande guerra non si svolse solo sui campi di battaglia. Altrettanto importanti furono le redazioni dei giornali, le scrivanie degli intellettuali, gli appelli (famoso quello detto dei 93, promosso dal filologo classico Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff). Così il servizio militare di Thomas Mann si svolse allo scrittoio, prima con alcuni brevi scritti, il saggio Federico e la grande coalizione, poi Gedanken im Kriege – apparso nel 1915 sulla “Neue Rundschau” – e soprattutto con le Considerazioni di un impolitico che, come scriverà, furono “un servizio spirituale armato” a cui non lo aveva arruolato “lo Stato o l’esercito, bensì il tempo stesso”. Tutte le nazioni belligeranti arruolarono i propri intellettuali in quella che è stata ugualmente chiamata nelle diverse lingue “guerra degli intelletti”, Krieg der Geister”, “spiritual War”.

La storia venne reclutata a dimostrare le ragioni della propria nazione, e i torti degli avversari. La propaganda degli Stati dell’Intesa accusò la “barbarie” del militarismo tedesco, per le crudeltà commesse nell’invasione del Belgio neutrale. Questa provocò negli intellettuali tedeschi un senso di accerchiamento, la persuasione di essere al centro di un complotto teso a svilire la civiltà di lingua tedesca. “Per molti giorni, dopo che la fantastica esplosione di odio contro di noi e d’invidia senza nostra colpa era divenuta realtà, su molti spiriti gravava ancora come un sogno. Quasi nessuno che non avvertisse svalutata in qualche parte la propria concezione del mondo, il proprio equilibrio interiore, la propria immagine delle cose umane” – scrisse Robert Musil in un articolo per la “Neue Rundschau” apparso nel settembre del 1914. Per reagire a questa accusa di mancanza di civiltà il Berliner Goethebund invitò a contribuire a un volume collettivo, che uscirà a Stoccarda nel 1916 con il titolo Das Land Goethes, il cui scopo fosse mostrare che la nazione tedesca, la “terra di Goethe”, non è il paese della barbarie descritta dagli avversari, ma la patria dove sono fioriti grandi spiriti appartenenti all’intera umanità. E Thomas Mann interpretò il conflitto come contrapposizione tra il mondo tedesco, il mondo della Bildung e della Kultur, e il mondo della civiltà occidentale, materialista, privo di valori che non siano quelli dell’economia e dell’individuo, il mondo della Zivilisation.

I dissenzienti rispetto a questa impostazione nazionalistica e manichea, di reciproca demonizzazione, furono pochi: Romain Rolland in Francia, Heinrich Mann e Albert Einstein in Germania, Thorstein Veblen negli Stati Uniti, Karl Kraus in Austria, Mikhail Bulgakov in Russia. I docenti universitari persero la cattedra, qualcuno subì anche il carcere: Rosa Luxemburg in Germania, Bertrand Russeil in Inghilterra, Eugene Debs negli Stati Uniti.

Una visione diversa è quella che viene dai campi di battaglia, meno ideologica, che ai due poli ha l’orrenda visione del mondo in preda allo sconvolgimento delle liriche di Georg Trakl o August Stramm, e l’estasi guerresca di Ernst Jünger. Ma per alcuni autori – come Robert Musil o Ludwig Wittgenstein – l’esperienza al fronte fu fondamentale per la loro evoluzione intellettuale. Sia le pagine dell’Uomo senza qualità che del Tractatus non sarebbero state possibili senza.

Dal numero del 1 del 2013 il semestrale “Archivio Trentino. Rivista interdisciplinare di studi sull’età moderna e contemporanea” edito dalla Fondazione Museo Storico del Trentino ospita in ogni numero un intervento su questo tema; Italo Michele Battafarano ha raccolto una serie di suoi interventi nel volume Cantori e critici tedeschi della Grande Guerra (Scorpione editrice, 2015); e sugli stessi temi è in corso di pubblicazione sullo stesso argomento un numero monografico di “Humanitas”.

Chi è Fernando Orlandi

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