RUSSIA: La repressione di piazza Bolotnaya nel 2012 violò i diritti umani

La violenta repressione delle proteste di piazza Bolotnaya contro i brogli elettorali alle elezioni del 2012 furono una violazione dei diritti umani dei cittadini russi. Lo ha riconosciuto la Corte europea dei diritti umani, il 5 gennaio, nel caso Frumkin c. Russia (74568/12). I giudici di Strasburgo hanno unanimemente ravvisato una violazione degli articoli 11 (libertà d’assemblea e di associazione), 5.1 (diritto alla libertà e alla sicurezza), 6.1 e 6.3.d (giusto processo). Le autorità russe hanno fallito nell’assicurare la condotta pacifica dell’assemblea e nel procedere ad arresto, detenzione pre-processo e condanna amministrativa. Yevgeniy Frumkin, il ricorrente, aveva affermato di essere stato arrestato arbitrariamente in piazza Bolotnaya, per “ostruzione del traffico”, e posto in guardia a vista fino a ricevere un sentenza amministrativa di 15 giorni di carcere. La Corte gli ha riconosciuto un indennizzo di 32.000 euro.

In particolare, secondo la corte europea, le autorità russe hanno fallito nel requisito minimo di comunicare con i leader della protesta, fondamentale per assicurarne la condotta pacifica, prevenire disordini e assicurare la sicurezza dei cittadini coinvolti. Gli arresti e detenzione dei dimostranti sono stati invece pesantemente disproporzionati rispetto agli obiettivi perseguito, e hanno avuto l’effetto di scoraggiare il ricorrente ed altri dal partecipare ad assemblee di protesta e in generale dall’impegno attivo nell’opposizione politica.

Le proteste del 6 maggio 2012 e la loro repressione 

Il 6 maggio 2012, il giorno precedente l’inaugurazione per la terza volta di Putin a presidente della Federazione Russia, si teneva su piazza Bolotnaya, a Mosca, un’assemblea di protesta contro gli “abusi e falsificazioni” nelle elezioni presidenziali e parlamentari del 2011 e 2012.

La “marcia del milione” era vista con timore dalle autorità di Mosca, che temevano il possibile avvio di una rivolta popolare dal basso nella propria capitale. Numerosi media liberali della capitale russa (la radio Eco di Mosca, il giornale Kommersant e il canale tv Dozhd) restarono oscurati da attacchi DDoS. Regolarmente autorizzato e concordato nelle sue modalità con le autorità, la protesta veniva seguita in una proporzione di 1:1 tra manifestanti e forze dell’ordine (8.000 ciascuno secondo la polizia, anche se gli organizzatori riportano un numero di 25.000 manifestanti).

Malgrado fosse iniziato pacificamente, l’evento veniva brutalmente represso dalla polizia, con circa 400 arresti, dopo che le forze dell’ordine ebbero deciso di impedire ai manifestanti l’accesso al parco di piazza Bolotnaya, come inizialmente previsto. Tra i fermati vi furono anche nomi importanti quali Alexei Navalny, Boris Nemtsov e Sergei Udaltsov; circa 80 furono i feriti. Altri 120 furono arrestati il giorno successivo.

Per il deputato russo d’opposizione Ilya Ponomarev, “fu la polizia ad iniziare. Piazza Bolotnaya si era riempita, e la polizia l’aveva sigillata. Quindi hanno iniziato a spingere i dimostranti, e la gente ha reagito”. Il portavoce di Putin Dmitri Peskov affermò invece che polizia era stata troppo morbida coi dimostranti.  Per Gazeta.ru, “è impossibile restare ciechi di fronte al piano di radicalizzazione delle proteste pacifiche dietro le azioni [delle forze dell’ordine].” Secondo Lenta.ru, “Mosca non vedeva scontri di piazza di tale portata da vent’anni”.

Numerosi meeting continuarono nelle due notti successive in vari punti di Mosca, e vari leader dell’opposizione vennero arrestati di nuovo. Altri arresti seguirono nei mesi successivi, tra cui quello dell’attivista per i diritti umani Nikolav Kavkavsky, da allora detenuto. I ricorsi contro le azioni illegali della polizia, tra cui uso sproporzionato della forza e arresti arbitrari, vennero rigettati tutti entro il marzo 2013.

Nella successiva indagine criminale nel “caso di piazza Bolotnaya“, più di trenta persone (tra cui quattro donne) vennero accusate dalle autorità russe di disordini di massa (art. 212 del codice penale russo) e violenza contro la polizia (art. 318). Numerose vennero tenute agli arresti, anche domiciliari, mentre altre riuscirono a fuggire prima del fermo e trovarono asilo in Spagna, Svezia, Lituania, Estonia e Germania; alcuni si suicidarono all’estero. In totale, diciotto persone vennero condannate dai 3 ai 4,5 anni di prigione,  L’indagine è riconosciuta a livello interno quanto internazionale come un processo politico; il difensore civico russo Vladimir Lukic riconobbe che “non ci sono stati tumulti in piazza Bolotnaya” e che “persone innocenti sono state soggette a sanzioni penali”. Amnesty International ha riconosciuto gli arrestati come prigionieri di coscienza. La maggior parte delle persone coinvolte venne amnistiata nel dicembre 2013, ma prosecuzioni e condanne continuano. Andrey Barabanov uscì di prigione solo a Natale 2015, dopo più di tre anni e mezzo. Solo pochi giorni prima, l’attivista 24enne Ivan Nepomyanshchikh era stato condannato a 2 anni e mezzo.

Oggi la Corte di Strasburgo riconosce che la repressione delle proteste faceva parte di una strategia delle autorità russe volta a impedire la mobilitazione politica dei cittadini, infringendo i loro diritti di associazione e partecipazione. D’altra parte, il Parlamento russo ha di recente votato per l’abolizione della supremazia del diritto internazionale sul diritto interno, con soli tre voti in dissenso (Gudkov, Petrov, Ponomarev). A seguito di tale legge – considerata legata al timore di forti indennizzi nel caso Yukos – le Corti russe non si ritengono più formalmente obbligate ad eseguire le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, malgrado ciò sia in violazione della stessa Costituzione russa. La Russia, assieme alla Turchia, è  lo stato membro del Consiglio d’Europa con il maggior numero di condanne per violazioni dei diritti umani da parte dei giudici di Strasburgo.

Foto: Victor Grigas, Wikipedia (CC BY-SA)

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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4 commenti

  1. Dovremmo mostrarci sorpresi ?

  2. Naturalmente subito dopo la Russia minaccia di adire all’arbitraggio internazionale per il non rimborso della tangente Yanukovych da parte dell’Ucraina. Ma ormai il regime putiniano è alla schizofrenia.
    Questa legge è un ulteriore passo, dopo le leggi su internet, media e possibilità di espatrio, sul cammino dell’isolamento della società civile, della repressione del dissenso, dell’omicidio politico e della trasformazione autoritaria della Russia in uno “stato canaglia”.

  3. Roberto Melussi

    Già, ora se hanno un minimo di coerenze mi aspetto che questi stessi giudici della Corte Europea condannino pure Italia per gli arresti indiscriminati degli attivisti NO TAV !
    Chissà perchè sono certo che nemmeno prendano in considerazione l’ipotesi…

  4. Avrebbero dovuto dialogare con i manifestanti che violavano la legge, lasciare provacare la polizia fino alla sua reazione, fino a quando degli sconociuti cecchini (sconosciuti ma subito additati dalla libera informazione occidentali come mandati da Putin, naturalmente) avrebbero fatto la tanto attesa strage per il colpettino d’Etat….. Quello che nessuno, dico nessun governo occidentale mai permetterebbe, deve invece valere per gli altri. Vi immaginate un gruppo di manifestanti che occupano manu militari la piazza centrale di Washington contestando la liceità delle elezioni presidenziali che “dialogano” con il governo Usa?

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