Il partito d’opposizione ‘Rinnovo’ (Obnovleniye) ha conquistato la maggioranza dei seggi alle elezioni del Soviet Supremo della Transnistria, repubblica separatista che si trova sulle rive del Nistro, tra Moldavia e Ucraina, e che nessuno Stato riconosce. Lo scorso 29 novembre, gli elettori hanno punito l’attuale presidente Evgenij Shevchuk, eletto nel 2011. Si tratta di un segnale forte, nonostante lo scarso peso politico del parlamento: il mandato di Shevchuk scadrà, infatti, l’anno prossimo. Difficile immaginare, insomma, che Shevchuk possa replicare l’inaspettato successo di quasi cinque anni fa.
Shevchuk e la vittoria (inaspettata) nel 2011
Alla vigilia delle scorse elezioni, in effetti, era piuttosto difficile prevedere la vittoria dell’attuale presidente, soprattutto considerato il pedigree dei suoi avversari. Il primo, Igor Smirnov, è stato il ‘fautore’ della secessione della Transnistria dalla Moldavia nel 1991 e dopo, per vent’anni, l’indiscusso padrone del paese. Tanto da guadagnarsi – al pari del presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko – il poco lusinghiero titolo di ‘ultimo dittatore d’Europa’. E da diventare inviso al governo russo. In occasione delle elezioni del 2011, infatti, il Cremlino – che sino a quel momento aveva sostenuto e foraggiato il governo di Smirnov – gli ha preferito Anatoli Kaminski, ex-presidente del Soviet Supremo. Invano, però, perché a spuntarla fu proprio Shevchuk, che pure non aveva mai fatto mistero delle proprie posizioni filo-russe.
Una crisi economica e politica
Come spiega OBC, l’economia della Transnistria dipende in larga misura dai finanziamenti provenienti dalla Russia, che però avrebbe rivisto al ribasso il volume degli aiuti. Le esportazioni del settore privato – che sino a oggi ha beneficiato di tariffe doganali agevolate con la Moldavia, suo principale partner commerciale – potrebbero, inoltre, essere messe a repentaglio dal ‘Deep and comprehensive free trade agreement’ tra quest’ultima e l’UE. Il risultato di domenica, secondo alcuni, sarebbe dunque in parte ascrivibile alla difficile situazione economica attraversata dal paese.
C’è pero un altro fattore da considerare: la relazione tra il gruppo Sheriff – colosso commerciale con forti interessi in molti settori dell’industria e dell’economia nazionale – e il partito ‘Rinnovo’, che alcuni osservatori identificano come il ‘braccio politico’ di Sheriff. Il presidente Shevhchuk è, in un certo senso, la perfetta sintesi di questa relazione, con i suoi trascorsi all’interno del gruppo e la militanza politica in ‘Rinnovo’. Dopo essere stato eletto presidente, però, Shevchuk ha cercato di limitare lo strapotere di Sheriff, sino a provocare una frattura all’interno del partito stesso. Per questo, alle elezioni di domenica, i candidati fedeli a Shevchuk si sono presentati come indipendenti.
Le proteste dopo il voto
Poco dopo la diffusione dei primi risultati, i sostenitori di Shevchuk hanno esortato i cittadini a scendere in piazza. Una prima manifestazione di protesta (non autorizzata, secondo Itar-TASS) era prevista questo mercoledì dinanzi all’edificio della Commissione Elettorale Centrale a Tiraspol, la capitale del paese. I sostenitori dell’attuale presidente puntano il dito contro eventuali brogli e chiedono alle autorità una verifica del processo elettorale. Shevchuk, intanto, predica calma e invita il nuovo parlamento a cooperare “per il bene della repubblica”.
Immagine in evidenza – fonte: Flickr
Che si fossero tenute delle “elezioni politiche” in Transnistra era proprio passato inosservato. Forse perché si tratta di una squallida rissa al coltello fra frazioni della solita gang di mafiosi. Una analisi che parla di oppositori, di governo, di elezioni come se come se gli abitanti della striscia lungo il Dnister possano decidere qualcosa è quantomeno stravagante, peggio confuso e fuorviante. Che traballi qualcosa lo può decidere solo il proconsole russo, nelle cui mani giace l’unico e vero “potere”. Il resto sono pagliacciate, come quelle a Lugansk e Donetsk e tutta la baracca sta in piedi sostenuta dalle baionette dei soldati russi. Ripeto le notizie da Tiraspol possono solo trovare posto nel Bollettino dei ricercati dell’Interpol.
Vocaboli come “elezioni” e “opposizione” sono entrati a far parte del dizionario di molti paesi che non possiamo definire democratici secondo i nostri standard. Una simile sorte è toccata anche a “democrazia”, benché spesso accompagnato da opportuni correttivi (democrazia “amministrata” in Russia, ad esempio, per riprendere Raviot). Credo sia questo il caso della Transnistria. In secondo luogo, mi sembra piuttosto azzardato considerare OBC, Le Monde, Jamestown, etc., come fonti provenienti da Tiraspol (o manipolate dal Cremlino).
Mah, un conto è “correggere” la democrazia con qualche aggettivo, altro è attribuire una qualche rilevanza politica/sociale a pure mascherate e a manipolate “manifestazioni”. Quello che, ammetto con un po’ di vena polemica, volevo sottolineare è che a Tiraspol (come a Lugansk, Donetsk, Tskhinvali, Sukhumi e, purtroppo, ora a Erevan) chi veramente comanda sono i proconsoli russi che lasciano gestire i loro sporchi, lucrosi affari a manutengoli/tirapiedi locali in cambio di una bovina fedeltà.
Dio mi scampi dal considerare “OBC, Le Monde, Jamestown, etc., come fonti provenienti da Tiraspol (o manipolate dal Cremlino)”, certo che i giornali o i siti di news online devono riempire tutti i giorni 50 pagine o sfornare news 24/24, per cui ci stanno anche i parti gemellari dei pongo nello zoo di Palangkaraya o le “elezioni” in Transnistria.