Una trentina di persone si sono ritrovate lunedì 7 dicembre al parco di At Mejdan, a Sarajevo, per commemorare i civili serbi uccisi dall’esercito bosniaco – l’Armija BiH – sulle colline di Kazani durante l’assedio. Durante l’iniziativa, organizzata dal gruppo Jer Me Se Tiče (Perché m’importa), è stata anche apposta una placca simbolica “alle vittime civili di crimini di guerra commessi a Sarajevo dai membri della 10° Brigata dell’Armija BiH“.
“E’ ora che abbia termine la politicizzazione dei crimini di Kazani”, secondo quanto dichiarato a Balkan Insight da Aldijana Okerić, dell’organizzazione transnazionale Youth Initiative for Human Rights (YIHR). “Sarajevo ha sofferto crimini orribili da parte delle forze che tenevano la città sotto assedio, ma dobbiamo ricordare anche le vittime all’interno della città. Di questi crimini si parla molto poco. Noi, cittadini di Sarajevo, abbiamo la responsabilità di restituire dignità alle vittime. Oggi rendiamo loro onore”.
Un’iniziativa ancora marginale, ma che gli organizzatori sperano possa servire ad aprire il dibattito su una questione ancora poco discussa (e di cui East Journal si era occupato in passato). Come scrive lo storico Nicolas Moll, “i crimini contro i serbi di Sarajevo commessi dalle unità dell’Armija BiH sono un tema particolarmente sensibile, controverso e spesso polemico, in relazione alla storia della Sarajevo assediata. Molteplici e spesso contraddittorie attitudini li circondano: dalla glorificazione di Caco, al diniego e relativizzazione dei crimini, fino alla loro strumentalizzazione politica. Allo stesso tempo, vi sono vari sforzi di prendere atto pubblicamente dei crimini commessi e protestare contro il loro diniego e minimizzazione”.
Okeric, la YIHR e Jer Me Se Tice hanno fatto appello alle autorità affinché costruiscano un memoriale permanente alle vittime di Kazani, e stabiliscano una commissione indipendente per stabilire la verità su tali omicidi. Anche ex membri della 10° Brigata hanno preso parte alla commemorazione. Adnan Hasanbegovic ha dichiarato di essere lì perchè i crimini di Kazani sono ancora ignorati. “E’ una storia senza fine. I tribunali non hanno ancora completato i processi per questi crimini, che sono spesso negati. Ecco perché abbiamo bisogno della verità e di un memoriale in centro. Come membro della Brigata, voglio estendere la mia simpatia a tutte le vittime.”
Un’altra iniziativa per il ricordo delle vittime di Kazani era stata organizzata solo il 25 ottobre scorso davanti alla Cattedrale cattolica di Sarajevo da parte dell’Associazione per la Ricerca Sociale e la Comunicazione (UDIK), che aveva lanciato il dibattito nel 2014. “I cittadini di Sarajevo devono ricordare i loro concittadini uccisi a Kazani”, aveva dichiarato il coordinatore Edvin Kanka Ćudić.
La difesa di Sarajevo e il problema dei crimini dei “nostri”
Durante tre esumazioni dalle fosse di Kazani, sulle pendici del monte Trebević, sono stati riportati alla luce i resti straziati di 23 persone, di cui solo 15 poi identificate – cinque donne e dieci uomini, secondo l’Istituto Bosniaco per le Persone Scomparse. Tra questi, anche due ucraini – i coniugi Ana e Vasilj Lavrov – due croati, un bosgnacco, e dieci serbi. Tutte vittime della 10° Brigata guidata da Mušan Topalović, detto “Caco”: un criminale e trafficante che all’inizio dell’assedio, quando la città mancava di armi e uomini per proteggersi, aveva costituito una brigata armata autonoma, che non mancò di collaborare con le autorità politiche e militari bosgnacche durante l’assedio.
Una collaborazione scomoda, per alcuni necessaria in quel momento, ma il cui prezzo fu elevato: la brigata di Caco si rese famigerata per rastrellare i civili serbi e costringerli a scavare trincee, e si macchiò ben presto di gravissimi crimini di guerra. Il governo di Sarajevo decise così di liberarsene. In un blitz organizzato per arrestare Caco, il 26 ottobre 1993, persero la vita nove poliziotti e otto ostaggi civili. Arresosi, Caco venne ucciso.
Caco venne sepolto in una tomba anonima presso lo Stadio del Koševo, per essere riesumato e sepolto da eroe nel 1996, in presenza delle massime cariche politiche e religiose – nonostante le proteste di reduci e famiglie dei caduti – nello stesso cimitero di Kovači dedicato ai morti durante il conflitto, dove riposerà anche l’ex presidente Alija Izetbegović.
Per i crimini di guerra di Kazani 4 ex soldati dell’Armija BiH sono stati condannati a sei anni di prigione. Altri 8 hanno ricevuto una pena di 10 mesi per aver insabbiato i fatti e i loro perpretratori. Un’ultimo ex soldato è ancora sotto processo da ormai più di dieci anni.
Come ricordava Andrea Rossini, “Le vittime dell’assedio di Sarajevo, condotto dal 1992 al 1996 dall’esercito della Republika Srpska (VRS), furono oltre 11.000. Secondo i dati del Centro di ricerca e documentazione di Sarajevo, citati da Oslobođenje, durante l’assedio della capitale furono uccisi 934 civili di nazionalità serba, inclusi quelli colpiti dalle granate o dai cecchini dell’esercito della VRS.”
Della vicenda di Caco e dei rapporti tra militari e criminali durante l’assedio di Sarajevo parla la graphic novel “Neven“, di Joe Sacco.
Riprendono i processi per crimini di guerra contro i civili serbi
Intanto la SIPA, i servizi segreti bosniaci, ha arrestato l’ex comandante della 3° Brigata dell’Armija BiH Sakib Mahmuljin, accusato di aver mancato di impedire i crimini di guerra contro civili e prigionieri di guerra serbi compiuti dai volontari islamisti dell’unità El Mujahedin che combattevano con l’esercito di Sarajevo durante il conflitto. Si tratta in particolare della battaglia di Vozuca, presso Zavidovici, tra maggio e ottobre 1995, nelle fasi finali della guerra. Cinquanta soldati serbi, prigionieri di guerra della 3° Brigata, sarebbero stati uccisi dall’unità, mentre altri 20 prigionieri di guerra e civili sarebbero stati trattati in modo inumano. Secondo l’accusa, Mahmuljin era al corrente dei piani criminali dell’unità El Mujahedin.
L’investigazione sui crimini di guerra a Vozuca, aperta dal Tribunale dell’Aja, è stata passata alle corti bosniache. A marzo il procuratore aveva deciso di sospendere l’incriminazione di Mahmuljin e di Sefik Dzaferovic, presidente della Camera bassa del Parlamento bosniaco, per i crimini di Vozuca. A tale decisione erano seguite proteste da parte dei gruppi di vittime civili serbe, che la consideravano politicamente motivata. La procura è ora tornata sui suoi passi.
Foto: Jer Me Se Tice, Facebook
Bell’articolo e bella notizia, anche se dopo tanto tempo qualcosa si muove anche in senso contrario, quantomeno per mettersi in “regola”… Le violenze intrinseche alle città assediate furono concomitanti ai loro assedi, e non fu solo per motivi strategici che ci furono attaccate: anche per difendere i propri connazionali – o attaccare gli altri.