ARMENIA: Il paese alle urne per decidere se cambiare la Costituzione

Domenica 6 dicembre in Armenia si svolgerà un importante referendum popolare nel corso del quale i cittadini del paese caucasico saranno chiamati alle urne per decidere se approvare o meno una serie di importanti emendamenti costituzionali proposti dal governo, che andrebbero a trasformare il paese da una repubblica semi-presidenziale a una parlamentare.

La Costituzione armena, adottata nel 1995 in seguito ad un referendum popolare voluto da Levon Ter-Petrosyan, ha visto i suoi primi importanti emendamenti nel 2005, durante la presidenza di Robert Kocharyan. Dieci anni dopo le ultime grandi riforme, anche l’attuale presidente Serzh Sargsyan ha deciso di provare a dare una propria impronta alla Cosituzione, proponendo nuovi emendamenti che se approvati andrebbero a cambiare radicalmente l’assetto costituzionale del paese caucasico.

La decisione di voler proporre una riforma costituzionale è stata rivelata dallo stesso Sargsyan più di due anni fa, nel settembre 2013, subito dopo aver annunciato a sorpresa in seguito ad un incontro con Putin la scelta di voler aderire all’Unione Euroasiatica, beffando in questo modo l’Unione Europea che era pronta a siglare un accordo di associazione con Yerevan nell’incombente vertice di Vilnius.

Tempo dopo è stata quindi creata una commissione specializzata per la stesura di una bozza di riforma, la quale è stata in seguito presentata all’Assemblea Nazionale (il Parlamento armeno), che lo scorso agosto l’ha approvata con larga maggioranza, dando inoltre l’assenso per l’organizzazione di un referendum popolare per la sua definitiva accettazione.

In cosa consiste la riforma costituzionale

Seppur di ampio respiro, la riforma costituzionale ha fatto discutere soprattutto per quanto riguarda le modifiche relative al sistema politico. Come già anticipato, se gli emendamenti costituzionali proposti venissero approvati l’Armenia passerebbe dall’essere una repubblica semi-presidenziale al diventare una repubblica parlamentare. Il presidente della repubblica, attualmente figura di maggior peso all’interno della scena politica armena, perderebbe gran parte dei suoi poteri decisionali a favore del primo ministro, limitandosi a svolgere un ruolo per lo più cerimoniale; il suo mandato verrebbe esteso da cinque a sette anni, ma senza però la possibilità di essere rinnovato, e la sua elezione non sarebbe più popolare ma verrebbe effettuata su iniziativa dell’Assemblea Nazionale. Esso perderebbe inoltre la possibilità di nominare i giudici della Corte Costituzionale, ai quali spetta l’ultima parola riguardo alla procedura di impeachment presidenziale.

Il potere esecutivo passerebbe nelle mani del primo ministro, nominato dalla maggioranza parlamentare, che otterrebbe anche il ruolo di comandante supremo delle Forze Armate, diventando di fatto la prima carica del paese per autorità e importanza. Per quanto riguarda l’elezione dell’Assemblea Nazionale verrebbe mantenuto l’attuale sistema di rappresentanza proporzionale, ma con la novità che nel caso non si riesca a formare un governo di maggioranza in seguito al primo turno si dovrà effettuare un ballottaggio tra i due partiti che hanno inizialmente ottenuto il maggior numero di voti. Infine verrebbe ridotto il numero di seggi in Parlamento, che dagli attuali 131 passerebbero a 101.

Pro e contro di una riforma che fa discutere

Ancor prima di essere approvata dall’Assemblea Nazionale, la bozza di riforma che verrà sottoposta al referendum popolare è stata presentata a diverse organizzazioni internazionali esperte nel settore, come la Commissione di Venezia, organo consultivo del Consiglio d’Europa, che in linea di massima si è detta soddisfatta dagli emendamenti proposti. Per i sostenitori della riforma costituzionale questa potrebbe essere una buona occasione per portare finalmente l’Armenia fuori dalla grave situazione di stallo politico che il paese sta vivendo da anni, attribuita soprattutto ai limiti dell’attuale sistema semi-presidenziale.

Nonostante i presunti buoni propositi, la riforma costituzionale ha fatto però molto discutere fin da prima che la bozza venisse approvata dal Parlamento. In vista del referendum, a sostenere compatta il “fronte del no” si è schierata buona parte dell’opposizione del paese, che ha apertamente accusato il presidente Sargsyan di avere ideato una serie di emendamenti “ad personam” (tanto che la riforma è stata rinominata “progetto Sargsyan”) che gli consentissero di continuare a dominare la scena politica anche in futuro. Al momento infatti Sargsyan è al suo secondo e ultimo mandato presidenziale, essendo stato eletto nel 2008 e riconfermato nel 2013, stesso anno in cui ha poi annunciato di voler proporre una riforma costituzionale. Secondo le accuse dell’opposizione Sargsyan, che con il sistema costituzionale attualmente in vigore non potrebbe più ricandidarsi alla presidenza del paese al termine del suo mandato, in caso di approvazione della riforma avrebbe la possibilità di mantenersi alla guida della nazione ricoprendo un altro ruolo di prestigio, come quello di primo ministro.

Il Partito Repubblicano, partito del presidente, detiene la maggioranza assoluta dei seggi all’interno dell’Assemblea Nazionale, e da diversi anni siede al governo del paese; le prossime elezioni parlamentari, previste per il 2017, non dovrebbero quindi rivelare sorprese. Consapevole di questo, Sargsyan potrebbe quindi approfittare del nuovo assetto costituzionale per riciclarsi al comando del paese senza portare alcun cambiamento effettivo all’interno della scena politica armena, incrementando anzi l’accumulo di potere da parte del proprio partito politico.

Chi è Emanuele Cassano

Ha studiato Scienze Internazionali, con specializzazione in Studi Europei. Per East Journal si occupa di Caucaso, regione a cui si dedica da anni e dove ha trascorso numerosi soggiorni di studio e ricerca. Dal 2016 collabora con la rivista Osservatorio Balcani e Caucaso.

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