Stefano Corso, nato a Roma nel 1968, e Dario Jacopo Laganà, napoletano classe 1977, sono due fotografi italiani, autori del progetto fotografico “We will forget soon” realizzato dallo Zukunft Erinnerung Dokumentation con il patrocinio dell’Istituto Italiano di Cultura a Berlino e la Fondazione federale per la rielaborazione critica della dittatura della SED.
In concomitanza della mostra fotografica, che si terrà fino a febbraio a Dresda e successivamente a Prora (Rügen), è stato realizzato anche un libro che racconta il lavoro e l’esperienza da loro vissuta, mostrando un diverso approccio rispetto a quello dell’esposizione: quest’ultima ne avrà uno artistico, il libro esclusivamente di documentazione. “We will forget soon” è un progetto importante, il cui scopo è quello di andare a cercare i luoghi, ormai dimenticati, che l’esercito sovietico ha abbandonato nel 1994, a seguito del crollo dell’esperienza del socialismo reale in Europa orientale. Per portare a termine il loro lavoro, i due fotografi hanno percorso quasi 8.000 km, scattando nell’arco di due anni solari più di diecimila fotografie in 300 località differenti. Un progetto maestoso e certamente ambizioso, che con i successi avuti in Germania ha avuto il giusto tributo. Da Rostok a Torgau, luogo del primo storico incontro tra gli Alleati e i sovietici in Germania, passando per Berlino, Lipsia, Weimar e tante altre città, i fotografi hanno saputo catturare istanti di una storia che non è a noi molto lontana. Una storia diversa, forse sconosciuta ai più, quella della presenza dell’Armata Rossa al fianco dell’esercito della Germania socialista.
Il libro si racconta in tredici capitoli, tredici aree tematiche l’una interconnessa all’altra: il soggetto è sempre quello, l’esperienza sovietica nella Repubblica Democratica Tedesca. Dalle strutture abbandonate, oggi luogo di vandalismo o di memoriale per nostalgici veterani, fino all’aeroporto di Länz/Müritz, sede del Fusion Festival, un festival di musica e arte organizzato fin dal 1997 dall’associazione Kulturkosmos. Ma anche attraverso il recupero di numerose strutture, su cui spicca per l’ironia della sorte la sede di Lipsia della multinazionale Amazon, costruita sulle ex baracche militari dell’esercito sovietico, o cercando di trovare qualche effigie del leader comunista per eccellenza, Vladimir Lenin, tanto rappresentato allora quanto introvabile al giorno d’oggi. A impressionare è certamente la città di Wünsdorf, a sud di Berlino, che ospitava circa 35.000 persone tra civili e militari, sede dell’Alto Comando del Gruppo delle Forze Sovietiche in Germania. Tutto era presente: negozi, scuole, un teatro, fabbriche, una prigione, un museo, un club sportivo e, immancabile, una statua di Lenin. Ora, nella cittadina, sta lentamente tornando la vita con la riqualificazione delle strutture anche se, tuttavia, molto lavoro è ancora da fare.
L’idea del progetto fotografico è nata dal connubio tra la vita vissuta, la gioventù durante la Guerra fredda fino al crollo del Muro di Berlino, una grande passione per la storia e il lavoro svolto regolarmente a Berlino, città che ormai li ospita da anni. Una Berlino impregnata della divisione tra Ovest ed Est, ancora ravvisabile nell’architettura delle due parti della città e da quello che è rimasto dei luoghi simbolo della Guerra fredda: il Muro, la Torre della Televisione di Alexanderplatz – ormai divenuta la piazza dello shopping berlinese – fino al palazzo della sede centrale della Stasi, la polizia segreta tedesca, la cui struttura è stata recuperata e adibita a museo. Per chi si avventura nella città che più ha vissuto l’esperienza della divisione del mondo in due blocchi, i luoghi storici certamente non mancano.
Lo scopo del lavoro, tuttavia, non è solamente raccontare una storia magari poco conosciuta, ma mantenerne viva la memoria: l’abbandono o la sconsiderata ristrutturazione di alcuni luoghi rischia di cancellare involontariamente una parte della storia. Ma con le loro fotografie e le introduzioni di Silke Satjukow, docente di Storia Moderna alla Otto-von-Guericke-University di Magdeburgo e la dottoressa Sabine Kuder, della Fondazione federale per la rielaborazione critica della dittatura della SED, la memoria difficilmente scomparirà.
Foto: © Stefano Corso / Dario Jacopo Laganà