Da Belgrado – La Conferenza Generale dell’UNESCO, nella seduta di ieri, ha respinto la richiesta di adesione del Kosovo per rientrare nella lista dei patrimoni storici e culturali di questa agenzia delle Nazioni Unite.
Il piccolo paese balcanico non ha ottenuto la necessaria maggioranza dei due terzi tra i 142 rappresentanti presenti. A favore del Kosovo hanno votato 92 paesi, mentre i contrari sono stati 50, e gli astenuti 29.
Mancavano dunque appena tre voti per arrivare a 95, indispensabili affinché a Priština venisse riconosciuto un proprio patrimonio storico e culturale e quindi facesse un passo in avanti nel difficile percorso di autodeterminazione a livello internazionale.
Appena tre settimane fa, il Consiglio Esecutivo dell’UNESCO aveva accettato la richiesta, presentata dall’Albania, affinché il Kosovo divenisse paese candidato. La richiesta era stata approvata con 27 voti favorevoli, 14 contrari e 14 astenuti.
In questo intervallo di tempo dunque, le speranze coltivate da Priština erano molte, sebbene il Kosovo non goda ancora di un riconoscimento internazionale condiviso dalla maggior parte di stati. La Serbia, dal canto suo, contava per lo più su di una campagna anti-adesione – #NoKosovoUnesco – e sull’appoggio dei propri alleati internazionali, Russia in primis.
Nella votazione decisiva – preceduta dalla richiesta della Serbia, poi respinta a maggioranza, di rimandare il voto – a sostegno del Kosovo si erano espressi, tra gli altri, paesi come Francia, Gran Bretagna, Germania, Austria, Belgio, Slovenia, Croazia, Macedonia e Montenegro; mentre tra i contrari, oltre al blocco BRIC (Brasile, Russia, India, Cina), c’erano Argentina, Cuba, Messico e tutti quei paesi UE che tuttora non riconoscono il Kosovo a causa di simili dispute e contese territoriali, ovvero Spagna, Romania, Grecia, Slovacchia e Cipro.
La lista UNESCO di patrimoni dell’umanità per quei siti che rappresentano delle particolarità di eccezionale importanza culturale o naturale non presenterà dunque una voce indipendente per il Kosovo. I siti del Monastero di Dečani, del Monastero di Gračanica, del Patriarcato di Peć e di Nostra Signora di Ljeviš, infatti, continueranno a rientrare tra i patrimoni dell’umanità della Serbia, nella sotto categoria “Monumenti medievali in Kosovo”.
Oltre alle rivendicazioni di carattere spirituale e materiale da parte dello stato serbo e della chiesa ortodossa serba su tali monumenti, la campagna anti-adesione di Belgrado si era focalizzata molto sulle devastazioni da parte di estremisti kosovari del marzo 2004 subite da circa 150 luoghi sacri.
Dal suo canto, Priština ha infatti cercato di sfruttare quei monumenti prima disprezzati come una possibile carta per ottenere un riconoscimento a livello internazionale.
Se da un lato è vero che rientrare nella categoria di patrimoni dell’umanità aiuterebbe a preservare quei siti contro ulteriori danneggiamenti, dall’altro lato è altrettanto vero che, storicamente e culturalmente, questi monumenti rappresentano la culla della civiltà serba. Al di là dei caratteri peculiari artistici che questi monasteri presentano, quali l’iconografia e gli affreschi d’epoca bizantina, in essi sono conservate le ultime tracce del regno medievale serbo nel periodo precedente all’occupazione ottomana. E’ in questa regione, oltre che nella Serbia centrale e nella zona di Raška, che sono conservate la maggior parte delle opere (dette zadužbine) costruite per volontà dei regnati serbi, quali re Milutin e re Stefan Dečanski, prima che si consumasse la battaglia sulla Piana dei Merli (Kosovo Polje) nel 1389, aprendo la strada alla conquista ottomana e segnando indelebilmente il destino della penisola balcanica.
La data del 28 giugno 1389, festa del Vidovdan, rappresenterà l’inizio del ciclo epico serbo caratterizzato dall’idea del martirio e della vittoria morale nonostante la sconfitta sul campo. Essa ritornerà ciclicamente a scandire i momenti più turbolenti della penisola balcanica e in particolare della Serbia, divenendo una vera e propria ossessione collettiva, storica e sociale, oltre che uno strumento politico idoneo al soddisfacimento di pretese nazionaliste.
Il mancato ingresso del Kosovo nell’UNESCO, tuttavia, rappresenta più una vittoria di Pirro per la Serbia che una sconfitta per il Kosovo. Come sostenuto da Vladimir Kostić, presidente dell’Accademia Serba delle Scienze e delle Arti, nonostante sia corretta una rivendicazione storica, culturale e artistica sui monumenti del Kosovo, “è ora che la Serbia trovi una soluzione dignitosa a tale questione e riconosca come fatto compiuto l’allontanamento di questa regione”.