FILE - In this file photo taken Saturday, March 8, 2014, Russian President Vladimir Putin, foreground, watches downhill ski competition of the 2014 Winter Paralympics in Roza Khutor mountain district of Sochi, Russia, as Russia's sports minister Vitaly Mutko stands behind. WADA's independent commission said Monday, Nov. 9, 2015 Russia's athletics federation should be suspended and its track and field athletes banned from competition until the country cleans up its act on doping. (AP Photo/RIA-Novosti, Alexei Nikolsky, Presidential Press Service)

Doping di stato e servizi segreti, Mosca nella bufera. Uno scandalo non solo russo

L’agenzia mondiale antidoping (WADA) ha accusato il governo russo di avere messo in piedi un vero e proprio doping di stato, favorendo e coprendo il ricorso a sostanze dopanti da parte degli atleti della Federazione russa. L’agenzia, in un report di 323 pagine, parla del coinvolgimento di agenti del FSB – il servizio segreto russo – nelle Olimpiadi di Sochi e accusa il ministro dello Sport, Vitaly Mutko, di aver dato ordini diretti di ”manipolare alcune specifiche provette” per le analisi antidoping. Una bufera che non è solo sportiva ma sembra destinata a diventare una questione di politica internazionale.

La WADA è un’agenzia voluta dal Comitato olimpico internazionale (CIO) per aiutare le federazioni sportive nazionali nel contrasto al doping. Non solo, l’agenzia monitora i migliori atleti di ogni disciplina e controlla l’effettiva operatività dei centri antidoping dei vari paesi. È così che la WADA  ha cominciato a indagare sul presunto abuso di sostanze dopanti da parte di atleti russi e sul coinvolgimento diretto delle autorità russe le quali avrebbero distrutto ben 1417 provette, manipolando i risultati dei testi antidoping in un laboratorio ombra protetto dal FSB, con l’aiuto di medici e allenatori compiacenti.

La WADA ha così chiesto alla IAAF, l’associazione internazionale di atletica leggera, di sospendere la federazione di atletica russa (ARAF), con il rischio evidente che gli atleti russi non possano partecipare alle prossime Olimpiadi, in programma a Rio de Janeiro il prossimo agosto. Contestualmente è stata richiesta la chiusura del laboratorio antidoping di Mosca, il bando a vita per cinque allenatori e cinque atlete, di cui la più importante è Marija Savinova, oro negli 800 metri alle Olimpiadi di Londra. Tuttavia anche la IAAF è ritenuta corresponsabile dell’accaduto, colpevole “di avere guardato da un’altra parte”, anche per questo ha già avviato il procedimento di sospensione ed è probabile che la Russia venga sospesa fra pochi giorni. 

Mosca ha risposto che la WADA non ha presentato prove a sostegno delle accuse, e che non abbia collaborato con la nuova dirigenza russa, nominata di recente proprio per far fronte al problema del doping.

Un imbroglio non solo russo

Da sempre l’atletica, regina degli sport, è maestra dell’imbroglio. Ai tempi dell’URSS gli atleti del blocco sovietico erano noti per essere imbottiti di sostanze dopanti con il bene placito delle alte sfere. Il trionfo nello sport era utile alla propaganda comunista che dimostrava così la propria superiorità e potenza. L’homo sovieticus doveva andare “più in alto, più forte e più veloce”, come recita il motto olimpico, senza badare troppo all’onestà e – non da ultimo – alla salute. Oggi apprendiamo che la caduta del blocco comunista non ha fermato questa pratica. Ma se si può individuare una linea di continuità tra l’imbroglio sovietico e quello russo, che dire dei democraticissimi paesi occidentali che, in quest’imbroglio, non sono certo stati da meno?

Sandro Donati, in un’intervista realizzata per Narcomafie, diceva chiaramente che “Il doping di Stato non è solo ascrivibile all’allora mondo comunista. Anche in Italia, Grecia, Spagna e persino Germania Ovest esisteva (ed esiste ancora) da parte delle istituzioni sportive, un favorire il ricorso al doping”.

Sandro Donati, che nel suo libro “Lo sport del doping” (Gruppo Abele edizioni, 2012) racconta frodi e corruzione del mondo sportivo italiano e non solo, spiega come sopravviva “una mentalità, una funzione politica dello sport, anche nelle istituzioni sportive democratiche. E non solo nelle istituzioni sportive. Alla propaganda si sostituisce l’immagine. E all’immagine segue lo spettacolo che si ottiene con le vittorie, e poco importa se sono vittorie dopate. Con le vittorie arrivano gli sponsor. E poi i comitati olimpici, le partecipazioni a eventi sportivi, la costruzione di impianti, gli appalti finché non si scopre che quegli appalti erano truccati. L’inganno del doping ne porta con sé molti altri”. Un inganno in cui i russi non sono certo soli.

QUI l’intervista completa a Sandro Donati di Matteo Zola, Narcomafie, 2012

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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