Da SARAJEVO – Dennis Gratz è il presidente del partito Naša Stranka, uno dei pochi partiti bosniaci tout court, ovvero slegato da appartenenze etniche. Un’interlocutore privilegiato per parlare del ventesimo anniversario degli accordi di Dayton.
Come vedi la situazione politica in Bosnia oggi, a vent’anni da Dayton?
Dovremmo essere un paese secolare e democratico. Invece abbiamo un sistema politico che distrugge la cultura democratica. Quello disegnato a Dayton come parte degli accordi di pace crea un paese che è discriminatorio verso un numero significativo di persone non appartenenti ai “popoli costitutivi”. Ha cristallizzato i risultati della guerra: negli accordi di Dayton abbiamo ereditato il genocidio e le campagne di pulizia etnica.
Li consideri un fallimento?
No, un “work in progress”, non è un progetto finito. Doveva porre fine alla guerra e questo è effettivamente successo. Ma non può far funzionare il paese, specialmente nel contesto dell’Unione Europea. Dobbiamo cambiare la nostra costituzione per diventare un membro UE, modificando non l’organizzazione del paese, ma solo i suoi elementi discriminatori. Possiamo mantenere due entità, ma non devono essere proprietà solo di uno dei gruppi più numerosi. Vanno introdotte modifiche razionali: se non possiamo finanziarli, non abbiamo bisogno di dieci cantoni, per esempio.
Perché queste modifiche non vengono messe in atto?
Le strategie dei tre partiti maggiori non convergono su come andrebbero modificati gli accordi di Dayton. Per esempio, i partiti nazionalisti della Repubblica Srpska non accetteranno mai alcuna modifica che tocchi la loro posizione come “entità”. Credo che solo i partiti non nazionalisti possano effettuare queste modifiche.
Sembra che la maggior parte dei conflitti politici avvenga all’interno dei gruppi etnici, non tra di loro. Cosa pensi?
Penso che valga solo per i bosgnacchi e i serbi. Loro hanno più partiti che competono per rappresentare l’etnia. Eccetto i croati, i partiti nazionalisti non sembrano avere un’idea chiara di cosa vogliono. Non capisco che tipo di Bosnia Erzegovina vogliano costruire e cosa dovrebbe accadere a tutti noi, non solo a bosgnacchi e serbi. Chi si preoccupa globalmente dei bosniaci?
Clanizzazione della politica?
Definizione appropriata.
Parliamo di Naša Stranka. Molti dicono che il tuo partito ha idee condivisibili, ma è solo un partito urbano, incapace di raccogliere voti fuori da Sarajevo.
Concordo, ma è vero anche che abbiamo buone basi fuori da Sarajevo, nella aree del paese più prospere economicamente.
Il partito dei ricchi?
No. Siamo un partito che risulta molto attraente per i piccoli imprenditori, che fondamentalmente sono quelli che fanno girare l’economia in questo paese, la classe media. Non vedo la politica come qualcosa che deve piacere a tutti, non vogliamo essere un partito pigliatutto. Forse in questo senso siamo davvero intellettuali, potresti dire addirittura snob. Vogliamo educare la popolazione alle idee che abbiamo. Dunque non siamo socialdemocratici né nazionalisti. Siamo assolutamente più di sinistra, direi socio-liberali, simili ai Verdi tedeschi.
Tre aggettivi per descrivere il tuo partito.
Progressista, verde, vicino agli imprenditori.
Come vedi la Bosnia nei prossimi dieci anni?
Credo che vivremo un periodo di crescita. Siamo un paese piccolo e siamo geopoliticamente connessi all’Europa. Specialmente per le crisi più recenti, in primis quella dei profughi. Ci sarà uno sviluppo economico, a prescindere da quale governo sarà al potere, dovuto al fatto che tutto deve essere ricostruito o rinnovato. Questo genererà un qualche tipo di sviluppo economico. Ma come si svilupperà la società? Questa società è ancora molto divisa, va riunita attorno ad un paio di obiettivi. Come accadde in Italia ed in Germania alla fine della guerra, dove capirono che lavorare insieme avrebbe portato più frutti. Vedo sia un grande potenziale sia problemi molto seri.