Non devono combattere l’ISIS per sopravvivere, come i curdi in Siria e in Iraq, e neppure fronteggiare l’esercito di Ankara, come quelli in Turchia. Eppure, anche per i curdi dell’Iran la vita non è facile. Esecuzioni, proteste, arresti e scontri fra miliziani ed esercito iraniano hanno ridato vigore negli ultimi mesi a una lotta che ha radici antiche, e che pare lontana da una soluzione.
La questione curda in Iran
Un problema non da poco per Teheran, se si tiene presente che la popolazione curda ammonta a circa il 7% di quella totale dell’Iran. Fra le varie minoranze, che arrivano nell’insieme a sfiorare la metà degli abitanti, i curdi sono secondi solo agli azeri. Più di ogni altro gruppo etnico o religioso del paese, inoltre, i curdi appaiono politicizzati e determinati a battersi per la loro autonomia e libertà. Quasi impossibile incontrare, in Iran, un membro di questa minoranza che sia indifferente alle aspirazioni della propria gente. Un sogno che per molti di loro – rinfocolato dalle ultime vicende in Iraq e in Siria, dove i curdi controllano un grande territorio, e dalla lotta armata in Turchia – sconfina in quello irredentista di una patria curda unita.
Ma non sono solo le gesta dei combattenti di Kobane e gli entusiasmi per Öcalan e il PKK turco, assai diffusi anche qui, a surriscaldare gli animi. La questione curda in Iran affonda le sue radici in una storia che precede la nascita della Repubblica Islamica, e risale al tempo del nazionalismo – non privo di venature razziste – propugnato dalla dinastia Pahlavi. Fra il 1946 e ’47, nel vuoto di potere verificatosi in seguito all’occupazione anglo-sovietica del paese, ha luogo un’esperienza di indipendenza curda supportata da Mosca, la Repubblica di Mahabad. Nonostante la brevissima vita del progetto e l’estensione territoriale, limitata a poche cittadine, il suo ricordo è ancora vivo nella memoria dei curdi iraniani.
Le tensioni del presente
Ma sono soprattutto i nodi irrisolti del presente a far sì che la questione curda in Iran non trovi soluzione. Povertà, sottosviluppo, mancanza di infrastrutture ed emarginazione sono fattori cruciali nel determinare, per molti curdi, una profonda disaffezione nei confronti del governo centrale. Oltre alla diversità etnica, pesa la questione religiosa. Oltre la metà dei curdi iraniani sono infatti sunniti, e questo – in un paese dove il clero sciita ha un ruolo di primo piano nella vita politica – risulta un forte handicap.
Basta così un episodio per far esplodere la protesta. È quanto avvenuto il maggio scorso a Mahabad, città già ricordata per l’esperienza indipendentista degli anni quaranta. Qui una giovane donna, Farinaz Khosravani, cadde dal quarto piano dell’Hotel Tara perdendo la vita. Secondo i locali, si sarebbe trattato di un gesto disperato per resistere al tentativo di stupro di un ufficiale di sicurezzo iraniano. Ne sono nati disordini che hanno portato a numerosi arresti. L’hotel da cui la giovane si è lanciata è stato dato alle fiamme dalla folla inferocita.
Oltre a questo, non sono mancati ad agosto duri scontri fra l’esercito iraniano e il braccio armato del PJAK, partito dei curdi iraniani legato al PKK, che ha le sue basi oltre la frontiera con l’Iraq. Fonti curde parlano di decine di morti.
Rohani e i curdi
Da parte sua, il governo di Teheran sembra determinato a portare avanti un doppio approccio nei confronti dei curdi, riassumibile – come scrive James Brandon – con il vecchio adagio della carota e del bastone. Da un lato, spietato contro chi impugna le armi e con chiunque collabori con il PJAK, o più in generale con movimenti nazionalisti e di opposizione. A questo proposito, ci sono stati numerosi episodi di condanne a morte, come nel caso dei sei curdi impiccati a maggio nel carcere di Karaj o di due altri prigionieri politici uccisi ad agosto.
Dall’altra parte, non sono mancate da parte del governo Rouhani alcune importanti concessioni. Prima fra tutte, quella sull’utilizzo della lingua curda: a luglio, in corrispondenza della visita presidenziale nel Kurdistan iraniano, è stato annunciato che per la prima volta sarà possibile insegnare questa lingua nell’Università del Kurdistan, a Sanandaj. Inoltre, lo stesso Rouhani – che è stato eletto anche grazie al supporto dei curdi – ha annunciato importanti investimenti nell’economia della regione e nelle infrastrutture.
Si tratta di una questione centrale, quella della rapporto fra Teheran e i curdi, sulla quale si gioca non solo il futuro di questa minoranza, ma anche quello dell’Iran.
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Foto: strada nei pressi del villaggio di Palangan, in Iran (Amos Chapple, the Guardian)