Da SARAJEVO – Mercoledì scorso è stato arrestato all’aeroporto di Dortmund Hanefija Prijić, cittadino bosniaco classe 1963, ritenuto responsabile dell’eccidio di Gornji Vakuf del 29 maggio del 1993, in cui vennero uccisi tre volontari italiani. Prijić era stato condannato al carcere, ma attualmente stava beneficiando di un regime di semi-libertà. Secondo il giornale sarajevese Dnevni avaz, la Germania starebbe vagliando la possibilità di estradizione in Italia.
I fatti
Quel giorno un convoglio di attivisti italiani sta attraversando la Bosnia centrale, percorrendo la Diamond Route. Provenienti da Spalato, sono diretti a Zavidovici per portare viveri. Sul primo camion, contrassegnato da simboli della Croce Rossa, viaggiano Fabio Moreni e Sergio Lana. Segue un fuoristrada con le scritte “Press” e “Caritas”, a bordo Agostino Zanotti, Guido Puletti e Christian Penocchio. Trasportano anche documenti, certificazioni e cospicue somme di denaro. Hanno infatti contrattato con autorità croate, bosniache e ONU l’evacuazione di circa quaranta vedove e dei loro figli.
Sul monte Vidovan vengono fermati e fatti scendere dai veicoli. A fermarli è una truppa di miliziani, le cui spille sui berretti verdi con mezzaluna e stella ne certificano l’appartenenza ad una banda militare bosniaco-musulmana. A capo di questa truppa Hanefija Prijić, comandante della 317esima brigata dell’Armija BiH. Diverrà famoso con il suo soprannome: “Paraga”, come il famoso capo ustascia croato. Può sembrare paradossale che un ufficiale musulmano abbia un soprannome ustascia, ma si tratta di un omaggio alla milizia estremista croata rimasta a combattere contro i propri connazionali. Gli attivisti vengono defraudati dei propri documenti, del materiale umanitario e del denaro. Ma non si tratta solo di una normale rapina.
I cinque volontari vengono sequestrati e condotti in marcia dentro il bosco. Durante il tragitto iniziano a sospettare che l’obiettivo dei militari sia quello di ucciderli. Giunti ad una miniera abbandonata, Hanefija Prijic ne ordina la fucilazione. Moreni (1954) e Puletti (1964) muoiono all’istante, mentre gli altri tre si danno alla fuga. Lana (1972) viene freddato mentre scappa ferito nella foresta. Miglior fortuna hanno Zanotti e Penocchio: il primo si getta nel fiume, il secondo si nasconde tra i cespugli. Il giorno seguente Zanotti incontra le truppe dell’Armija bosniaca e inizia le ricerche dei compagni, convinto che siano ancora in vita. Urla nel megafono i loro nomi e distribuisce bigliettini informativi agli abitanti dei villaggi vicini. Nel pomeriggio del 30 riesce a tornare sul luogo dell’eccidio con una spedizione perlustrativa di corpi dell’Armija. Penocchio sente i richiami, ma, temendo che si tratti di una trappola, rimane nascosto all’addiaccio un’altra notte, per poi raggiungere un battaglione bosgnacco nella giornata del 31. Le testimonianze di entrambi sono state decisive per la condanna di Prijić il 3 aprile del 2002 da parte di un tribunale bosniaco a tredici anni di reclusione presso il carcere di Zenica.
Le ipotesi
L’eccidio del Vidovan e l’omicidio del pacifista Gabriele Locatelli, avvenuto il 3 ottobre dello stesso anno a Sarajevo, rimarranno le uniche uccisioni di civili stranieri non combattenti in tutto il conflitto della ex-Jugoslavia. L’omicidio di tre pacifisti, completamente disarmati e già spogliati di denaro e documenti, suscitò fin da subito forti dubbi. Circolano diverse ipotesi riguardo ai mandanti e alle finalità di questo eccidio, ben riassunte da Luca Rastello nel libro La guerra in Casa (Einaudi, 1998). Anche l’associazione Guido Puletti ha presentato nel 2014 un dossier che chiama in causa ambienti governativi e collaborazionisti neofascisti italiani, che avrebbero spinto per un coinvolgimento maggiore dell’Italia nel conflitto.
L’arresto di Hanefija Prijić, avvenuto su mandato di cattura internazionale italiano, potrebbe permettere di fare luce sugli esecutori materiali e soprattutto sulle reali motivazioni di un gesto finora rimasto senza spiegazioni.
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foto: Giulia Stagnitto