Le elezioni di domenica si svolgono in un clima di tensione. La ripresa dei combattimenti contro il PKK curdo nel sud-est del paese e gli attentati che sconvolgono il paese – su tutti quello di Ankara del 10 ottobre scorso che ha ucciso centoventi persone – getta un’ombra inquietante su queste elezioni.
Terrorismo e democrazia
L’attentato di Ankara non è che l’ultimo di una lista nera di atti terroristici che sembrano aver fatto da cornice al clima di tensione elettorale. Il 5 giugno una bomba era esplosa a Diyarbakır durante un comizio del partito HDP, mentre il 20 luglio, in concomitanza con le trattative per la formazione di un governo, un attentato suicida sconvolge la città di Suruç al confine con la Siria, e la tregua fra governo e PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) cessa di esistere.
Ad oggi il clima di tensione e di paura rende difficile proseguire la campagna elettorale in vista delle prossime elezioni. L’AKP sembra tuttavia non avere difficoltà ad attrarre elettori attraverso l’organizzazione di “comizi contro il terrorismo”. Il problema però è che in Turchia la parola “terrorismo” non ha fatto il suo ingresso dopo l’ISIS: l’associazione spontanea (e fortemente veicolata dall’AKP) è quella con il PKK.
Può quella dell’AKP essere definita una “strategia della violenza”?
Il giornalista Ahmet Hakan, editorialista del quotidiano turco Hürriyet Daily News, mette in relazione l’attentato di Ankara con la politica promossa dall’AKP negli ultimi mesi. Sottolinea in particolare come sia insensato considerare il governo direttamente responsabile per questa tragedia; ci sono tuttavia degli elementi di cui tenere conto.
La politica estera finora portata avanti, in particolare l’ambiguità dimostrata nei confronti della crisi siriana, ha fatto sì che la Turchia si ritrovasse isolata dal punto di vista internazionale e diventasse terreno di addestramento di organizzazioni terroriste; la debolezza dei servizi segreti e l’atteggiamento ostile del governo ha fatto sì che la polizia diventasse nemica dei propri cittadini, e che un attentato come quello di Ankara avesse luogo proprio nella capitale durante una manifestazione pacifista.
Infine, secondo Hakan, la polarizzazione della società e la demonizzazione della popolazione curda stanno alimentando quella che appare essere una spaccatura sempre più profonda nel tessuto nazionale, e l’AKP, invece che fare ricorso al concetto di unità, sembra voler sfruttare questo elemento a fini elettorali. Sono in molti, opinionisti e politologi turchi, a condividere questo pensiero: la nazione turca è divisa, e il partito di maggioranza non sta facendo nulla per alleviare questa frattura.
Nuove elezioni: unità o frattura?
Le elezioni anticipate di novembre rappresentano in potenza un punto di svolta per la politica turca, interna ed estera. L’ago della bilancia potrebbe essere rappresentato dal partito HDP: se non dovesse superare nuovamente la soglia di sbarramento, l’AKP potrebbe recuperare la maggioranza assoluta ed essere in grado di tornare alla formazione di un governo monocolore. Viceversa, se il partito filo-curdo guidato da Selahattin Demirtaş riuscisse ad essere riconfermato nell’arena parlamentare ciò potrebbe costituire un elemento di novità.
Ciò che risulta evidente è che il paese necessita adesso di un governo capace di affrontare questa polarizzazione politica e societaria, e che agisca unito. Da questo dipende non solo la stabilità politica, ma anche quella economica: l’instabilità politica, unita alla volatilità della lira turca, ultimamente ai minimi storici nei confronti di dollaro e euro, rischia di scoraggiare gli investitori e di rallentare pesantemente la crescita economica.