RUSSIA: Le fonti del comportamento strategico russo. Pavlovskiy sulle orme di Kennan

Si sono sprecati fiumi d’inchiostro nel tentativo di spiegare la condotta politica della Federazione Russa nell’ultimo biennio. Comprendere Putin è divenuto sempre più spesso il paradigma vigente per comprendere l’approccio strategico del Cremlino in un contesto internazionale in continuo mutamento. Ma nonostante la costante immedesimazione del potere putiniano con la totalità del paese, è davvero possibile comprendere l’azione politica russa attraverso l’univoca visione del suo presidente?

Un interessante contributo all’ampio dibattito in materia è stato offerto da Gleb Pavlovskiy. Ex consigliere di Vladimir Putin, e ancor prima dissidente sovietico, nel suo recente libro, Il Sistema della Federazione Russa. Le fonti del comportamento strategico russo (disponibile finora solo in lingua russa) Pavlovskiy cerca di proporre una visione più ampia del complesso insieme di strutture che regolano la politica estera del Cremlino. Rispolverare l’interesse nei confronti delle “fonti della condotta russa”, facendo parzialmente luce sul difficile intreccio tra politica estera e quella interna, appare come il principale obiettivo del lavoro.

Le radici del “sistema”

Il “sistema” russo moderno è sorto, secondo l’autore, in maniera improvvisa, sulle ceneri del decadente, ma ancora teoricamente funzionante apparato sovietico. Proprio l’improvvisazione è stata la base del periodo eltsiniano e del consolidamento delle strutture statali, quando il Cremlino, cioè, “ha sviluppato le tecniche del proprio nuovo comportamento”. L’obiettivo era quello di unirsi all’ampia comunità occidentale, ma l’assenza di strumenti per la sua realizzazione ha condotto la Federazione verso la costituzione di un proprio, differente, “sistema normativo”.

Pavlovskiy colloca proprio in questo periodo la formazione del nuovo gruppo dirigenziale (definito il “gruppo del Cremlino”) capace di vincere la concorrenza e di creare intorno a se le parvenze di uno stato funzionante, isolando così il resto della popolazione dallo stato stesso. Il potere dell’amministrazione presidenziale, nato in difesa della stabilità e del percorso riformatore della nuova Federazione, è divenuto così l’unico soggetto dell’azione politica, formando una specie di sistema “sovra-costituzionale”.

Putin e il processo decisionale

Nella parte dedicata all’analisi del processo decisionale dell’ultimo ventennio l’autore individua due diversi periodi. Il primo corrisponde ai primi due mandati di Vladimir Putin. Durante questo periodo il processo decisionale rispettava generalmente la verticalità del potere ed era per questo più facilmente identificabile.

Un interessante paradosso è emerso, però, con il recente ritorno al potere di Vladimir Putin nel 2012, dopo la parentesi da premier di Medvedev. Nel consolidare il ruolo dell’amministrazione presidenziale, si è andato rafforzando anche quello dei vari gruppi di interesse al suo interno, mentre il presidente ha assunto il ruolo di catalizzatore del sistema, di vero e proprio mediatore tra le varie correnti. “Tutto appare ora meno chiaro e più sfumato” e l’influenza dei vari gruppi di pressione all’interno dell’apparato presidenziale più sfrontata. L’azione del Cremlino durante la crisi ucraina, secondo il politologo, è stata caratterizzata proprio dall’assenza di una strategia condivisa a lungo termine e formata nella sua totalità da un disomogeneo insieme di istanze situazionali e strategie individuali promosse dai vari gruppi di potere.

La violazione delle norme internazionali comunemente accettate, come nel caso della Crimea, è divenuta sì un modo per asserire il proprio ruolo di grande potenza, ma anche la dimostrazione, per Pavlovskiy, dell’assenza di una strategia lungo-temporale capace di proiettare la Russia all’interno del club dei partner paritari dell’occidente.

Stabilità del sistema

Nella sua parte finale il lavoro si sofferma sulle prospettive future della Russia putiniana. Esclusa dal gioco, secondo Pavlovskiy, non sarà l’opposizione politica a mettere in crisi la stabilità dell’attuale sistema, quanto la lotta per il potere all’interno del circolo presidenziale. L’omicidio di Boris Nemtsov rappresenta in questo contesto un primo segnale di allarme e la dimostrazione che il confronto tra le varie fazioni si sta facendo costantemente più acceso.

In conclusione, il libro suggerisce l’interpretazione secondo la quale la recente azione in politica estera non è determinata da intenti puramente revisionisti del Cremlino, quanto piuttosto da un delicato equilibrio interno e dalla mancanza di concrete prospettive per il futuro post-putiniano. Lungi dal diventare uno strumento maneggevole nelle mani del lettore, il lavoro offre comunque spunti interessanti per comprendere l’intricato sistema decisionale che ha portato Mosca alle soglie di un nuovo conflitto con l’occidente.

Chi è Oleksiy Bondarenko

Nato a Kiev nel 1987. Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna (sede di Forlì), si interessa di Ucraina, Russia, Asia Centrale e dello spazio post-sovietico più in generale. Attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca in politiche comparate presso la University of Kent (UK) dove svolge anche il ruolo di Assistant lecturer. Il focus della sua ricerca è l’interazione tra federalismo e regionalismo in Russia. Per East Journal si occupa di Ucraina e Russia. Collabora anche con Osservatorio Balcani e Caucaso.

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