I crimini contro l’umanità sono uno dei più gravi reati di cui si può macchiare una persona. Di questo crimine è stato recentemente accusato l’ex Presidente della Romania Ion Iliescu a seguito della repressione della protesta che infiammò la Romania a seguito della caduta del regime di Ceausescu.
Nel 1990, pochi mesi dopo il collasso del sistema comunista in Europa e in Romania, numerosi cittadini romeni scesero in piazza per manifestare contro l’élite comunista ancora al potere. Nonostante la rivoluzione che abbatté il regime di Ceausescu, moltissimi ex membri del Partito Comunista Romeno rimasero ai vertici della politica romena: quella che sembrava una rivoluzione popolare rischiò di apparire come un regolamento di conti interno al Partito. Ion Iliescu non era un semplice membro del Partito, ma detentore di numerosi incarichi ad alto livello, nonostante poco dopo venisse emarginato dallo stesso Ceausescu. Le proteste furono tuttavia represse nel sangue quando Iliescu, Presidente della Romania, chiamò i minatori a scendere in piazza contro i manifestanti. I duri scontri causarono dei morti – alcuni a colpi di arma da fuoco – e un altissimo numero di feriti.
La riapertura dell’indagine è stata effettuata dopo che la Corte Europea per i Diritti Umani (CEDU) aveva accusato la magistratura romena di aver condotto un’indagine “insufficiente e lacunosa”. Nel 2008 fu chiesto dai magistrati romeni di archiviare il caso contro l’ex Presidente Iliescu per insussistenza del reato, ma la moglie di un manifestante ucciso a colpi di arma da fuoco e quella di un uomo ferito a causa delle percosse presentarono ricorso presso la Corte di Strasburgo. Il 17 settembre 2014 la Corte si espresse contro Iliescu riaprendo quindi il caso.
Ion Iliescu non ha mai ammesso alcuna responsabilità nella violentissima repressione nel sangue della manifestazione. Iliescu, facendo riferimento alla grande popolarità di cui godeva, ha sempre affermato che l’accusa secondo cui fosse stato lui a chiamare, trasportare e mobilitare i minatori contro la popolazione manifestante fosse soltanto una mossa propagandistica volta a screditarlo, sostenendo che tale avvenimento gettò discredito esclusivamente al paese, in un momento molto fragile nella sua storia. I minatori infatti, secondo Iliescu, non si mobilitarono a difesa del Governo su chiamata dello stesso, ma perché preoccupati della sorte dell’industria mineraria romena: lo scontro quindi tra manifestanti e minatori nacque a causa delle divergenze nei riguardi della volontà – per i primi – di disimpegnare lo Stato dall’economia promuovendo una serie di privatizzazioni. I minatori, preoccupati da ciò e fiduciosi nel Governo, si scagliarono violentemente contro i manifestanti.
A far luce sul caso spetterà ora alla magistratura romena, sulla cui vicenda permangono elementi oscuri. Il marito di Anca Mocanu, la donna che insieme a Marin Stoica e all’Associazione “21 dicembre 1989” presentò il ricorso presso la Corte europea, fu ucciso per un colpo di fucile sparato dal Ministero degli Interni. Iliescu, convocato in procura, non ha espresso alcun commento sulla vicenda.
Già accusato nel 2005 di omicidio e tentato omicidio – ma prosciolto per vizio di forma – Iliescu ha detenuto il potere a fasi alterne fino al 2014. A valutare ora il suo ruolo nelle violenze che ebbero luogo a Bucarest nel 1990 sarà la Corte Suprema Romena. L’accusa è pesante e potrebbe restituire agli studenti la dignità della rivoluzione del 1989.
Foto: Nato.int
In quell’occasione io stavo dalla parte dei minatori e, alla luce della fine che hanno fatto fare ai lavoratori romeni i cosiddetti studenti figli di papà, starei ancor piu’ dalla loro parte qanche oggi.