di Pietro Acquistapace
recensione a Il grande gioco di Peter Hopkirk, edizioni Adelphi
Esistono libri di viaggio ed esistono libri che fanno viaggiare. Questo libro fa decisamente viaggiare: nel tempo, nello spazio, nella storia, in sostanza altrove. Hopkirk ha la straordinaria capacità di immergere il lettore nelle vicende che narra, anche grazie all’utilizzo di cartine che aiutano decisamente a contestualizzare il racconto. Il tema è quanto mai avvincente: con grande opera di ricerca e ricostruzione Hopkirk ci presenta un memorabile affresco della lotta, a colpi di spie ed esploratori (sovente la stessa persona), tra Russia e Gran Bretagna per il controllo, anche solo nominale, dell’Asia Centrale (ed in misura minore del Caucaso) nella seconda metà dell’Ottocento.
Il titolo del libro richiama a quella che può essere definita una partita a scacchi, fatta di mosse e contromosse, dove il tentare di capire le intenzioni dell’avversario è quasi più importante che fare la propria mossa. Alcune pagine di questo libro sono davvero memorabili, e rendono omaggio a persone che, oggi forse sconosciute, si sono avventurate in imprese forse nemmeno immaginabili dai loro contemporanei. Persone difficili da classificare: spie? Esploratori? Viaggiatori? Di fatto tra le pagine del libro si vede all’opera un vero proprio “servizio segreto”, con i suoi codici e le sue precauzioni, che forse oggi possono apparire davvero ingenue.
Omaggio. Forse è questa la parola chiave per capire questo libro. L’autore sembra rendere omaggio a tutti i protagonisti di questo teatro, siano essi gli sfortunati Connolly e Stoddart (messi a morte dall’emiro di Buchara) o le indomite tribù turkmene, per lungo tempo terrore di chi si avventurava nei loro territori, un omaggio inoltre alla stessa Asia Centrale con i suoi terribili deserti e le sue altissime cime; nelle descrizioni di Hopkirk i passi afghani sembrano prendere vita e gli ambienti naturali diventano conosciuti “non meno che l’aspetto de’suoi familiari”. Ma nelle parole dell’autore sembra riecheggiare anche l’omaggio ad un altro modo di fare politica, e di fare la guerra, dove si rischiava in prima persona e dove gli eroi facevano imprese eroiche, dove i nemici potevano bere insieme prima di combattersi ma anche dove la popolazione civile era la popolazione civile.
Non voglio però idealizzare il passato attribuendo all’autore concetti che forse non erano nelle sue intenzioni, diciamo che questo è ciò che mi sembra aver percepito tra le righe. Non mancano infatti pagine di barbare atrocità e forse oltre ad una diversa mentalità, dovuta ai tempi, nella visione “cavalleresca” del conflitto concorre una sproporzione dei mezzi in possesso delle parti in causa. Il confronto con la contemporaneità esula da questa recensione e lascio quindi il dubbio ai lettori.
Tornando al libro possiamo dire che si tratta anche, e non in infima parte, di un’opera di geopolitica, utilissima per capire l’origine delle dinamiche di un’area, l’Asia Centrale (con il vicino Afghanistan) tornata di grande attualità ed importanza strategica e di una zona, il Caucaso, da sempre teatro di guerre mai concluse. In conclusione un libro imprescindibile per chiunque abbia interesse a conoscere le vicende presenti, passate e anche future di una non irrilevante parte di mondo, un libro che aiuta a capire perché ancora oggi quelle terre siano al centro di guerre e di interessi da parte di potenze straniere. Se la storia si ripeta non so, ma di sicuro so che la lettura dell’opera di Hopkirk si ripete volentieri.
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