L’ennesima voce dissidente che si leva contro i regimi dittatoriali e che, in particolare, non ama né Vladimir Putin né Aleksander Lukashenko, è di nazionalità bielorussa, è una giornalista e oggi anche una scrittrice affermata, e giovedì scorso si è portata a casa il Premio Nobel per la Letteratura 2015. Di padre bielorusso e madre ucraina Svetlana Alexievich, 67 anni, cresciuta nella Minsk sovietica del dopoguerra, ha conquistato questo onore senza troppo scalpore, restando quasi nell’ombra della sua scrittura composta ma allo stesso tempo mordace che attira lettori dal mondo intero.
Non c’è nulla di più azzeccato oggi di leggere qualche pagina di “Ragazzi di zinco”, dove sconforto e disillusione emergono riga dopo riga dalla penna di Svetlana, che descrive il sacrificio compiuto dai soldati russi reduci dalla guerra in Afghanistan (1979 – 1989). Un sacrificio compiuto in nome di qualcosa che non esisteva, in nome di un’ideologia mancata, il fallimento di una guerra inutile durata 10 anni, di cui oggi purtroppo non resta solo un vago e penoso ricordo: lo scenario di guerra continua, e non solo in Afghanistan.
Le stesse emozioni frustranti si ritrovano sfogliando “Preghiera per Chernobyl. Cronaca del futuro”. Negli anni della perestrojka, mentre i suoi connazionali sono impegnati a scrivere opere di denuncia su lager e gulag, Svetlana non vuole tacere la realtà di questa grande catastrofe nucleare, la grande battaglia persa dell’URSS che purtroppo non è servita di lezione al mondo. La scrittrice raccoglie con grande cura le testimonianze dei sopravvissuti, cerca di comprenderne le sensazioni e racconta le vicende vissute dalle famiglie che sono rimaste sul posto e dei famosi “liquidatori”, il tutto attraverso un tono doloroso e commovente. Il tema è ovviamente tabù e la scomoda verità viene sotterrata man mano dalle autorità. Scavare fra i ricordi è quindi rischioso, ma Svetlana porta a termine il suo compito perché, come afferma, è meglio ricordare che dimenticare.
Svetlana viene spesso associata ad Anna Politkovskaja, entrambe giornaliste alla ricerca di giustizia e libertà. L’obiettivo di Svetlana, al contrario di quello di Anna, non è mai stato quello di denunciare direttamente un determinato sistema politico, né di opporsi in prima linea, ma semplicemente di capire l’uomo in quanto essere umano e dargli voce tramite la letteratura. Le sue storie non sono fatti di cronaca pura o racconti di guerra tradizionali ma storie e testimonianze di vita reali. Cittadina sovietica ordinaria, il destino di Svetlana è infatti quello di essere una “giornalista di anime”.
“Ho cercato a lungo un genere che corrispondesse al mio modo di vivere.
E alla fine ho scelto quello che dà voce all’anima delle persone e ai loro sentimenti.
Al pari di Anna Politkovskaja, Svetlana non va d’accordo con i politici al potere nel suo Paese e ancora non si capacita sulla guerra in Ucraina: “Abbiamo superato due guerre mondiali, ma quella tra la Russia e l’Ucraina è la peggiore. Non ci sono stranieri in questa guerra. Né tanto meno vincitori.”
Commenti simili non passano certamente inosservati a leader come Aleksander Lukashenko o Vladimir Putin, i quali non approvano le idee di Svetlana. Non è dunque sorprendente che le sue opere, tradotte dal russo in più di 19 lingue, siano vietate in Bielorussia, in Ucraina e in Russia, dove il lavaggio del cervello mediatico è una routine.
Nonostante ciò, il presidente bielorusso si è dimostrato fiero della scelta della giuria di premiare questa autrice che scrive “opere normali” e possiede uno “stile adeguato”. In fondo, è una cittadina bielorussa a tutti gli effetti e un Nobel non può che portare gloria ed onore alla patria.
Le opere di Svetlana Aleksievich sono state pubblicate in Italia dalla casa editrice romana E/O e tradotte dal russo da Sergio Rapetti:
Preghiera per Černobyl’. Cronaca del futuro, 2002.
Ragazzi di zinco, 2003.
Incantati dalla morte. Romanzo documentario, 2005.
Tempo di seconda mano. La vita in Russia dopo il crollo del comunismo, 2014.
Foto: M. Kabakovoj