A 10 anni di distanza dalla Rivoluzione dei Tulipani che cacciò l’autocrate Askar Akayev, in Kirghizistan si è votato per il rinnovo del Concilio Supremo, il locale Parlamento. In merito al regolare svolgimento delle elezioni c’è un consenso pressoché unanime, anche commentatori internazionali portano questa tornata elettorale ad esempio di una prova democratica mai vista in Asia Centrale. Su 14 partiti in lizza ben 7 hanno superato gli sbarramenti elettorali (7% su base nazionale a condizione che si ottenesse almeno lo 0,7% dei voti in ogni circoscrizione). Ma cosa significano per il futuro del Kirghizistan?
I risultati definitivi non si sapranno prima di altri dieci giorni, ma sembra già evidente che a prevalere nei consensi degli elettori, con quasi il 60% di partecipazione al voto, sia stato il partito di governo, ossia il Partito Social Democratico del Kirghizistan (SDPK), con il 27,44% dei voti. A rendere meno diffusi, ma non assenti, gli episodi di irregolarità il fatto che per la prima volta si è utilizzato il voto elettronico. Le accuse di brogli, meno che in passato, non sono tuttavia mancate e verrano nei prossimi giorni prese in analisi dalla Commissione Centrale. Formalmente quindi una democrazia attiva e funzionante.
In realtà, se andiamo a vedere nella sostanza il risultato elettorale, appare immediatamente chiaro che il nuovo governo dovrà per forza di cose essere di coalizione. La presenza di più partiti offre la possibilità di maggiori alchimie ma allo stesso tempo potrebbe essere un fattore di instabilità, quello che tutti temono nel panorama politico del Kirghizistan prossimo venturo. Quasi tutti i partiti non sembrano avere dato prova, in campagna elettorale, di una volontà troppo riformista e praticamente tutti sono inoltre accomunati dalle posizioni filorusse, paese al quale il Kirghizistan è sempre più legato.
L’economia kirghisa arranca in una situazione difficile, accentuata dalla flessione accusata dai principali partner, vale a dire Russia, Cina e Kazakistan. Il tasso di emigrazione all’estero è sempre più preoccupante e la catena montuosa del Tien Shan separa un nord più industriale da un meridione agricolo, più densamente popolato e dove l’islam risulta maggiormente presente. Il Kirghizistan soffre anche di una costante carenza energetica che si somma alle mai sopite tensioni etniche con i confinanti Uzbekistan e Tagikistan. Le questioni scottanti che il nuovo Parlamento dovrà affrontare sono molte.
Sul piano internazionale il Kirghizistan è, come detto, sempre più integrato nella sfera russa essendo membro della CSTO (Collective Security Treaty Organization), alleanza militare guidata da Mosca, nonché dell’Unione Economica Eurasiatica. In caso di instabilità questo potrebbe significare l’intervento russo a difesa dei suoi confini meridionali. La Russia è oggi militarmente presente in territorio kirghiso con la base aerea di Kant, avuta in affitto sino al 2032, vero centro strategico in cui lavorano 400 persone. La democrazia-modello kirghisa avrebbe quindi come nume tutelare il tanto spesso criticato Vladimir Putin.
Le elezioni appena trascorse non sembra possano portare ad uno scossone politico, sebbene gli eletti si trovino a dover prevenire un possibile scossone sociale. Più verosimilmente, le trattative per la formazione della coalizione di governo potrebbe essere occasione per stringere e verificare alleanze in vista delle elezioni presidenziali del 2017, quando l’attuale presidente Atambayev non potrà più ricandidarsi visto che la costituzione impedisce un secondo mandato. Le elezioni kirghise possono essere un modello di democrazia per l’Asia Centrale, ma si resta in attesa di vedere dove condurrano il paese. (Farfalle e Trincee)
Foto: Alex J. Butler, Flickr