BALCANI: Persone in fuga dalla tempesta, i migranti sulle rotte che furono della guerra

di Nataša Vučković

È il 4 agosto 1995: l’esercito croato, col supporto militare delle forze bosniache dell’Armata della Bosnia ed Erzegovina e della NATO, da il via alla c.d. “Operation Storm”, o, se preferite, l’Azione Tempesta. L’azione militare tramite la quale in soli pochi giorni vengono espulsi dalla Repubblica di Croazia 250.000 persone (prevalentemente civili,ma anche militari) appartenenti alla minoranza serba. Altre 2.500 persone in quelle ore trovarono la morte: chi nella propria casa, perché il nemico veniva a bussare direttamente alla tua porta; chi in luoghi di tortura appositamente predisposti per l’occasione; chi in macchina,nei negozi, nelle piazze, chi in chiesa al proprio matrimonio o a scuola, dove non eri più degno di entrare… per via del tuo nome,della la tua “razza” o del tuo Dio, che in fondo, non era poi così tanto diverso dal loro. A vent’anni da quel tragico evento ancora circa 2.000 persone giacciono disperse: nessuno ha più saputo niente di loro.

Quel giorno in poche ore, mentre Tudjman ed i suoi entravano a Knin, la Krajina sanguinava: mamme e bambini raccoglievano tutto ciò sarebbe potuto servire loro per stare via qualche giorno, convinti che la situazione si sarebbe calmata e che avrebbero potuto fare ritorno presto nella loro casa. Ma poi le cose andarono diversamente. In pochissimo tempo tutte le strade dirette verso il confine serbo-croato e quello croato-bosniaco vennero invase da macchine, grida, trattori con i carri e tante lacrime: bisognava fare presto, bisognava fuggire!

Così, senza renderti nemmeno conto di quello che sta succedendo, apri gli occhi in una notte d’estate, avvolto in una coperta e sdraiato su una valigia, in un carro attaccato ad un trattore che non sai nemmeno tu dove esattamente sia diretto. La luna è splendida, più che mai, il cielo roseo e tranquillo. È l’alba, l’inizio di un nuovo giorno, che non sai se riuscirai a vedere fino alla fine. Il sapore di quella bellezza viene interrotto dall’amaro degli spari che senti attorno a te, dall’odore emanato dai proiettili che poco più in là, dietro la lunga fila di alberi che accompagna la strada della speranza che stai percorrendo, stanno freddando il corpo di uno dei tuoi fratelli. E un’infinità di volte ripeti dentro di te: “Finirà presto, ce la faremo!”

Hai fame, sete. C’è un caldo asfissiante che a malapena ti lascia respirare e un’unica domanda che ti accompagna per l’intero viaggio: “Perchè?”. Ma non hai tempo ora di darti risposte, usi le energie solo per mantenere viva quella speranza, che ti sazia ed allevia il tuo dolore, ricordandoti che in tutto questo inferno esiste una possibilità che tu rimanga vivo e possa ricominciare in un altro luogo dove non ci sia la guerra. È piccola, quasi inesistente, ma in lotta per la sua esistenza, per la sua vita, esattamente come te.

20 anni dopo sei a Belgrado, in marcia per commemorare le vittime di quella guerra ed in un certo senso anche te stesso. Ci sono migliaia di persone, la maggior parte, come te, era in quella lunga colonna di disperati. Camminiamo uno accanto all’altro, seguendo uno dei trattori con cui qualche contadino nel ’95 mise in salvo la propria vita. Fa caldo, a malapena si riesce a respirare, proprio come quel giorno.fuga

E proprio come quel giorno sempre la stessa domanda trova spazio nella tua mente e nella tua anima: “Perché?”. Sono passati vent’anni e tu non hai ancora trovato una risposta. Quasi sicuramente non la troverai mai. 20 anni dopo, mentre tu assapori la gioia di essere riuscito a salvare la tua vita, oggi migliaia di persone, a pochi chilometri da te, stanno nuovamente lottando. Vengono da più lontano, ma vorrebbero attraversare la stessa frontiera, hanno fame, sete, voglia di una doccia e di dormire in un letto, proprio come te. Sicuramente anche loro continuamente si ripeteranno: “Ce la faremo!”. È vero, ci distingue la lingua, ci differenzia il colore della pelle… ma ci lega la disperazione, la fuga dalla guerra, l’essere umani e lottare per la vita. Perché, in fondo, anche loro sono in fuga da una “Tempesta” e hanno bisogno di mettersi al riparo.

Foto: Kurir.rs

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