Ha 43 anni, è un presbitero, docente e teologo ufficiale della Congregazione per la dottrina della fede (o meglio, era), è polacco e ha raggiunto una popolarità difficilmente eguagliabile persino dalle più controverse dichiarazioni di monsignor Bagnasco. Si tratta di monsignor Krzysztof Olaf Charamsa, il religioso che nelle ultime ore ha fatto parlare di sé perché si è dichiarato non solo apertamente omosessuale, ma ha presentato alla stampa anche il suo compagno.
Si deve essere estremamente critici di fronte ad una dichiarazione del genere, perché il suo atto non può essere definito unicamente “coraggioso” come molti già hanno sostenuto (perché nel caso si fosse trattato di una compagna, le sue parole avrebbero ricevuto ben altra eco); anche se ora Charamsa deve affrontare una serie di conseguenze che potrebbe spingersi ben oltre i commenti triviali sui social.
Non è solo la tempistica che può far storcere il naso soprattutto ai cattolici (si è aperto ieri il sinodo ordinario sulla famiglia) ma anche il fatto che monsignor Charamsa abbia dichiarato di avere già pronta una biografia della sua vita non solo in italiano, ma anche in polacco. È stata una mossa calcolata e ponderata da molto tempo (almeno dal concepimento del libro e poi dalla sua stesura), e sicuramente non ingenua, che si inserisce in un momento particolarmente complesso della storia della Chiesa e all’apertura del sinodo sulla famiglia.
Una situazione delicata anche perché nel 2005 un altro polacco, il cardinale Zenon Grocholewski, aveva redatto un documento (poi approvato dal Vaticano e tuttora valido) contro il sacerdozio di persone apertamente omosessuali. Per capirci: l’indagine da cui è scaturito il documento ha dimostrato una larga presenza di sacerdoti gay, da qui l’obbligo della discrezione più assoluta con divieto di interesse e pubblicità (anche solamente personale) al mondo LGBT* e l’obbligo di una castità di almeno tre anni prima dell’ordinazione diaconale. Castità che, a ben pensarci, non è così rigidamente controllata per gli ordinandi eterosessuali.
In ogni caso, dopo il sollevamento dagli incarichi presso la Congregazione per la dottrina della fede e le università pontificie, la palla è rimbalzata in Polonia, dato che a decidere sulle sue sorti sarà Ryszard Kasyna, vescovo di Pelplin, la diocesi di cui Charamsa è sacerdote e dove ha condotto anni di studio. Monsignor Kasyna da parte sua ha già chiesto a Charamsa di tornare al sacerdozio conforme con la vita di Cristo, ma la risposta a questo punto appare ovvia. La Polonia non è famosa per l’apertura alla tematica LGBT*, e a riprova di questo è arrivata la notizia quasi in contemporanea che il presidente Andrzej Duda ha rifiutato di firmare la legge precedentemente approvata dal parlamento che sancisce il diritto alla “coerenza” di genere, che servirebbe per facilitare il cambio di sesso sui documenti d’identità e su altri atti di burocrazia.
Charamsa ha vissuto in un clima di intolleranza per i gay praticamente tutta la vita (prima la sua terra d’origine, poi la Chiesa), fin quando non ha gettato la spugna e ha accettato il proprio orientamento sessuale. Si tratta di un percorso certamente sofferto, e probabilmente questa dichiarazione gli porterà innumerevoli altri problemi. Esistono tuttora sacerdoti convinti che l’omosessualità sia una malattia (ricordiamo che è stata tolta dall’elenco delle malattie mentali solo nel 1990) e che possa essere curata. Molti altri hanno deciso di distinguere tra atto e tendenze, condannando esclusivamente l’atto, come nell’istruzione sopracitata. Ma cominciano a farsi forti anche le linee di supporto alla comunità LGBT*, al confronto e al dialogo aperto, perché una volta che viene meno la base di “malattia” o “scelta volontaria”, condannare un omosessuale equivale a condannare una persona che è coerente con il proprio essere e sceglie l’accettazione di sé piuttosto che una continua agonia.
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Foto: Getty Images