Mosca. Un crimine, una coppia omosessuale e della pittura blu. Girato in soli 11 giorni e all’insaputa delle autorità russe, il secondo lungometraggio del regista francese Jonathan Taieb “Stand” è una vera e propria denuncia sociale.
Anton (Renat Šuteev) e Vlad (Andrej Kurganov) sono una giovane coppia omosessuale della periferia di Mosca. Un giorno si ritrovano casualmente ad essere testimoni di una violenta aggressione. Anton vorrebbe intervenire ma Vlad, che non vuole mettersi nei guai, impedisce al compagno di immischiarsi. Poco dopo scoprono tuttavia che la vittima dell’aggressione era un giovane omosessuale, proprio come loro. Anton, indignato e frustrato, vuole vederci chiaro e fare giustizia. Ma a che prezzo?
La storia di Anton e Vlad, tratta da fatti realmente accaduti, prodotta da Grizouille e distribuita da The Open Reel, è stata filmata quasi interamente a Charkiv, in Ucraina, a debita distanza dalle feroci autorità russe che ne vietano la promozione e la visione.
A prima vista “Stand” potrebbe essere considerato come un thriller qualsiasi. In realtà, ci troviamo di fronte a un’opera militante che mescola documentario e finzione, un film che non vuole far scandalo ma che invita il pubblico ad aprire gli occhi e ad agire in nome della giustizia. Il titolo parla da solo: “Stand”, un semplice monosillabo che in inglese (ma anche in russo, “protivostojanje”) è ricco di significati. Schierarsi, stare in piedi, alzarsi, resistere, opporsi, sopportare, la lista è ancora lunga ma sono tutti verbi che simboleggiano la sfida e la lotta continua, una lotta che chiama all’azione.
E una lotta che vede Anton battersi per i propri diritti, cercare una giustizia che non c’è e finire per essere vittima delle dolorose discriminazioni e umiliazioni, tinte in Russia di un colore azzuro-blu, termine che non denota solo un innocente colore: “goluboj” in russo è un insulto, sprezzante e provocatorio, che indica una persona omosessuale.
Attraverso questa pellicola, il giovane Taieb vuole dare un grido d’allarme e penetrare nella coscienza del pubblico denunciando le recenti leggi omofobe approvate dalla Duma russa e i numerosi fatti di cronaca nera che vedono come protagonisti giovani innocenti appartenenti alla comunità LGBT. Una denuncia pungente che non può certo vedere la luce in Russia, dove la situazione della comunità LGBT è alquanto critica da quando il presidente Putin è al potere.
Negli anni Ottanta, sotto la presidenza Gorbacëv, l’omosessualità sembrava aver beneficiato di un leggero disgelo e, almeno nelle grandi città, nacquero diverse associazioni volte a riconoscere e a proteggere la comunità LGBT. Il movimento continuò durante il governo Eltsin che, incorraggiato dalle istanze europee, nel 1993 tolse l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali. Un passo non da poco.
Con l’arrivo di Putin le cose cambiarono radicalmente fin da subito. L’apoteosi si ebbe nel 2013, anno in cui in parlamento venne votata una legge che impedisce le “relazioni sessuali non tradizionali” con lo scopo di “proteggere i minori”, concetto che prende di mira la comunità LGBT e tutte le associazioni annesse e connesse. Le rigide leggi discriminanti (all’inizio dell’anno si parlava anche di impedire ai transessuali di guidare) e le violenze fisiche restano perciò una costante quotidiana.
Questo film-guerriglia è uno dei tanti simboli di lotta e denuncia contro queste atrocità. La comunità LGBT russa, con il sostegno di Amnesty International, associazione attivamente impegnata per i diritti degli omosessuali, cerca di promuovere questo progetto indipendente nel mondo, e forse a breve riuscirà a raggiungere anche l’Italia.
Qui la pagina Facebook di promozione del film. Qui il trailer originale del film.