Il 24 dicembre 2010, alla vigilia di un Natale che non avrei festeggiato e di una guerra che mai, in quelle spensierate giornate siriane, avrei pensato potesse scoppiare a distanza di pochi mesi, mi ritrovai, sotto il cielo terso di una splendida giornata invernale, a passeggiare tra le maestose rovine di Palmira.
In un contesto da fiaba, estasiato dalla bellezza e dalla suggestione di uno dei siti archeologici più belli al mondo, assistetti allo spettacolo di una storia millenaria che si ergeva imponente dinanzi al mio sguardo sotto forma di lunghi viali di colonne e maestosi templi, sorti come per magia dalla sabbia del deserto siriano.
Mi trovai di fronte alle rovine di una città antica, dalla grande storia, che tra il primo e il terzo secolo dopo Cristo conobbe un’epoca di splendore e che, per la sua straordinaria bellezza, si guadagnò il soprannome di “Venezia di sabbia”. La città, in alcuni periodi indipendente e in altri sotto il dominio di Roma, restò per 1500 anni uno dei siti meglio conservati dell’antichità ed è rimasta fino ai nostri giorni uno dei più affascinanti siti archeologici del mondo, riconosciuto dall’Unesco Patrimonio Mondiale dell’Umanità.
Fu un’entusiasmante, intensa ed originale vigilia di natale. A tenermi compagnia non furono, come di consuetudine, i miei parenti, ma l’accogliente popolazione locale. La giornata terminò con un gradito regalo: lo spettacolo delle rovine della vecchia Palmira accese dai colori rosso-fuoco del tramonto.
Fu una giornata memorabile, ma quel giorno non potei avere la giusta percezione di quanto prezioso fosse stato quel regalo. Oggi che, dopo oltre duemila anni, nessuna persona al mondo, neanche nelle generazioni future, potrà mai più avere la fortuna di poter assistere a quello spettacolo, ne ho compreso appieno l’inestimabile valore.
Dal 21 maggio del 2015 la città e il suo sito archeologico sono caduti nelle mani dei miliziani dell’Isis.
La tragica sorte della popolazione civile va, nel caso di Palmira, di pari passo con quella altrettanto drammatica del suo inestimabile patrimonio artistico e culturale.
Le straordinarie opere architettoniche costruite dal genio artistico di valenti esponenti della razza umana stanno cadendo ad una a una per mano del genio malefico di altri esponenti di tale bizzarra razza.La storia di Palmira è l’emblema di quanto di positivo l’uomo sia capace di costruire, e di quanto, al tempo stesso, sia scelleratamente capace di distruggere.
Lo scenario delle antiche rovine è stato utilizzato nel corso di questi mesi dai Jihadisti a fini propagandistici, come set ideale per scenografiche esecuzioni di massa di “infedeli”in tuta arancione, al fine di alimentare il “marketing del terrore”.
Khaled al Asaad , ottantunenne ex direttore del sito archeologico, è stato decapitato ad agosto, il suo corpo appeso a una colonna della città. Il vecchio Khaled, un archeologo colto e saggio era, agli occhi dei miliziani dell’Isis, doppiamente colpevole: mai rivelò, nemmeno sotto tortura, dove fossero nascosti preziosi reperti archeologici che avrebbero fruttato ingenti introiti se rivenduti al mercato nero e, soprattutto, passò l’intera sua vita a difendere la bellezza di una città vista come simbolo di politeismo. Un peccato grave e mortale, quello di difendere l’arte, la cultura e la bellezza.
Il tempio di Bel, il monumento più conosciuto e rappresentativo, consacrato nel 32 dopo Cristo al dio Bel adorato nell’antica Palmira, è stato di recente raso al suolo con cariche di esplosivo. L’ottusa furia iconoclasta dei miliziani dell’Isis sta distruggendo, con una sapiente e sadica regia, monumenti e testimonianze archeologiche di inestimabile valore. Alcuni reperti vengono venduti al mercato nero per finanziare la causa dell’Isis. Stiamo assistendo, impotenti, alla devastazione e alla lenta agonia del patrimonio artistico di una città dalla storia millenaria.
Nel corso del piacevole pomeriggio trascorso a passeggio tra le rovine, poco prima del tramonto, accadde un fatto curioso. Il mio sguardo, e di riflesso l’obiettivo della mia macchina fotografica, caddero su un uomo che si arrampicava su un monumento. Raggiunta la cima stette in piedi per qualche minuto, tronfio dell’impresa compiuta, a scrutare l’orizzonte dall’alto dell’antica rovina. Da un lato, con indole da fotografo, fui soddisfatto di aver immortalato la scena, ma al tempo stesso pensai a quanto stupida fosse quella persona. L’arrampicarsi in cima ad una antica rovina mi sembrò, ovviamente, una grave mancanza di senso civico, un’offesa e uno sfregio nei confronti della storia millenaria della città. Mi parve, seppur nel suo piccolo, un gesto folle.
Ormai da quattro lunghi anni, la follia umana si è purtroppo impadronita della Siria e di Palmira in proporzioni infinitamente maggiori. Pagherei oro, oggi, per vederla ridotta a un bifolco che si arrampica sul Tempio di Bel.
Ormai è tardi, qualunque sia l’esito della guerra e qualsiasi piega prendano le vicende della storia, i minuscoli frammenti di quello che per duemila anni è stato il maestoso Tempio di Bel si sono confusi con i granelli della sabbia del deserto.
La “mia” vecchia Palmira non esiste più, è perduta per sempre. Le persone incontrate in quei giorni, nella speranza che siano ancora in vita, hanno visto sconvolta la loro esistenza. Non mi rimane che condividere piccoli frammenti di memoria fotografica…Qui il reportage fotografico