La Francia ha bombardato postazioni militari dell’Isis in territorio siriano. Il clamoroso cambio di strategia è stato annunciato questa mattina, domenica, in un breve comunicato stampa dell’Eliseo. “La Francia è intervenuta sulla base delle informazioni raccolte durante le ricognizioni aeree effettuate nel corso delle ultime due settimane, nel rispetto della sua autonomia d’azione e in accordo con i partner della coalizione”. Incursioni ed operazioni aeree in Siria erano state annunciate all’inizio di settembre dal presidente Hollande. Da mesi Parigi bombardava luoghi sensibili in Iraq, con l’autorizzazione di Baghdad, ma non si considerava autorizzata ad intervenire nello stato confinante poiché non autorizzata da Damasco e non supportata quindi, a suo parere, dal diritto internazionale.
A legittimare il suo intervento sarebbero però, ora, le prove che gli attacchi terroristici contro Parigi siano stati organizzati proprio in territorio siriano.
Distrutto nei raid un campo di addestramento nella Siria orientale, “perché – ha precisato Hollande – rappresentava un rischio per la sicurezza nazionale”. Gli attacchi continueranno ogni volta che la sicurezza della nazione sarà in gioco.
La diplomazia occidentale
Mentre la crisi siriana continua ad essere al centro di complicate trattative al Palazzo di Vetro, sembra essere sempre più condivisa dagli stati occidentali l’idea che Bashar Al Assad possa in qualche modo contribuire alla risoluzione del conflitto civile in Siria, conflitto che complica la guerra all’Isis. Dopo l’avvicinamento di Washington a Teheran (potente alleato di Assad) e dopo la clamorosa apertura della Merkel al presidente siriano Bashar Al Assad la scorsa settimana, anche le posizioni di altri governi potrebbero ammorbidirsi.
La Francia che si è sempre dichiarata contraria ad un intervento in Siria per evitare di favorire indirettamente Assad, ha ora ridefinito le sue priorità con l’operazione militare delle ultime ore in chiave anti-Isis. Farà qualsiasi cosa pur di impedire l’avanzata delle milizie del Califfo Al Baghdadi. La rimozione di Assad, dunque, non è più al primo posto. E anche il premier britannico Cameron, secondo la BBC, potrebbe rivedere la sua posizione in vista del Consiglio di sicurezza dell’Onu della prossima settimana.
Il ministro degli esteri australiano, Julie Bishop, ha dichiarato sabato che Assad “deve essere parte della soluzione”.
Da parte sua, la Turchia è invece categorica: “Nessuno può pensare a un futuro della Siria con Assad -è la posizione del presidente Erdogan-. Non è possibile accettare una persona responsabile dell’uccisione di 300 mila o 350 mila persone, un dittatore”.
Foreign fighters raddoppiati negli ultimi 12 mesi
Una minaccia, quella del terrorismo, che continua a far preoccupare. Secondo quanto riportato dal New York Times, che cita fonti dell’intelligence statunitensi, nel corso dell’ultimo anno il numero dei foreign fighters in Siria e Iraq è raddoppiato. I reclutamenti sono in “costante crescita”, “quasi mille ogni mese”. Sarebbero 30 mila i miliziani stranieri arruolati e attivi nei due Paesi, 250 quelli di nazionalità americana.
Armi americane in mano ad Al Qaeda
Ma in questi giorni ad impensierire Washington non è soltanto il numero di combattenti in aumento che lascia il continente per il Medio Oriente. Oltre al fronte dello Stato Islamico, infatti, a preoccupare Obama è anche quello di Al Qaeda.
I militari americani stanno indagando su un passaggio di armi irregolare avvenuto tra uno dei gruppi di ribelli filo occidentali delle Nuove Forze Siriane (NFS, miliziani siriani addestrati dagli Stati Uniti in funzione anti ISIS) ed alcuni jihadisti di Al Nusra (l’ala siriana di Al Qaeda). La notizia è apparsa su alcuni quotidiani britannici ed americani negli scorsi giorni. Il Centcom, il comando centrale, ha confermato sabato, in un comunicato, che il 21 o il 22 settembre un gruppo di ribelli addestrati dagli Stati Uniti ha consegnato sei camioncini e le munizioni di cui era in possesso a combattenti di Al Nusra, probabilmente per garantirsi una via di fuga. L’equipaggiamento ceduto ai terroristi rappresenterebbe poco meno del 25% dell’attrezzatura fornita dagli americani ai ribelli siriani per combattere contro lo Stato Islamico.
A Baghdad il nuovo centro d’intelligence per combattere l’Isis
Il primo grande alleato del presidente siriano è da sempre Vladimir Putin. Ma se il Cremlino nega di aver rafforzato la sua presenza in Siria supportando sempre di più Assad con mezzi e rifornimenti, ha però confermato nelle ultime ore (dopo le smentite della scorsa settimana) la sua collaborazione con Baghdad per la creazione di un centro di cooperazione sciita in funzione anti-terroristica. Una mossa giustificata dalle preoccupazioni di Mosca per il numero crescente di combattenti russi tra le fila dell’Isis.
All’accordo partecipano anche Damasco e Teheran, con l’obiettivo di far nascere nella capitale irachena un punto logistico, per “processare e analizzare informazioni sulla situazione in Medio Oriente, principalmente per combattere lo Stato Islamico”.
Il centro sarà guidato da un ufficiale di uno dei paesi fondatori secondo una rotazione trimestrale, a partire dall’Iraq.
Sembra quindi che stia nascendo anche in Iraq – oltre che in Siria – un asse russo-sciita. Asse che ha subito raffreddato i rapporti tra Baghdad e Washington.
Per i prossimi sviluppi non resta che attendere martedì, dopodomani, quando il presidente Obama presiederà un vertice a cui parteciperanno i leader dei Paesi che compongono la coalizione a guida statunitense contro lo Stato Islamico.
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