La gestione della crisi dei profughi sta creando una baruffa diplomatica sui confini tra Serbia e Croazia. Giovedì, la Serbia ha bandito le importazioni di merci croate, in risposta alla chiusura del confine al traffico commerciale da parte della Croazia nella notte di mercoledì.
Da mercoledì notte, i punti-frontiera tra Serbia e Croazia sono aperti a singhiozzo, incluso il confine sull’autostrada Zagabria-Belgrado, a Bajakovo. Tutti gli autobus, camion e automobili con targa serba (tranne quelli che trasportano merci deperibili) sono stati rispediti indietro. “Vucic e Milanovic si scambiano colpi sopra le nostre teste, mentre noi aspettiamo qui come cani”, ha commentato alla Reuters il camionista serbo Bojan Djukic. “Niente cibo, acqua, bagni, docce. Sono fermo in questo camion da 42 ore ormai”. “Quali migranti? Non ne ho visto uno solo. E’ solo una disputa politica, e noi ne paghiamo il prezzo”, ha confermato Zeljko, conduttore croato, fermo dall’altro lato della frontiera.
Inizialmente anche i cittadini serbi sono stati rimandati indietro dal confine croato. Il sito serbo B92 riporta il caso di Bosko Bjelosev, cittadino australiano che stava direndosi da Belgrado a Bankja Luka, in Bosnia-Erzegovina: “Devo chiamare l’ambasciata australiana e chiedere loro cosa ci faccio qua, di notte, in mezzo alla strada? Devo andare a Banja Luka a piedi?“ Il ministro croato degli interni Ranko Ostojic ha poi chiarito che il blocco riguarda solo i veicoli. Resta comunque possibile, per tutti i veicoli serbi, entrare in Croazia passando dalla Bosnia-Erzegovina o dall’Ungheria.
La Croazia vorrebbe che la Serbia collaborasse a redirezionare i profughi, che oggi si dirigono tutti verso la Croazia, distribuendoli tra Croazia e Ungheria. Sono ormai 50.000 i profughi passati dalla frontiera tra Serbia e Croazia nell’ultima settimana, a seguito della chiusura del confine da parte dell’Ungheria. Il Parlamento di Budapest ha anche autorizzato l’esercito alla frontiera a sparare sui profughi, purché in maniera “non letale”. La Croazia ha organizzato in tutta fretta un campo profughi provvisorio a Opatovac, nei pressi del confine di Tovarnik, da dove è passata la maggioranza dei profughi.
Il confine serbo-ungherese a Horgoš è ora riaperto, ma è oggi disertato dalle rotte dei profughi. La Croazia redireziona poi la maggior parte dei profughi via treno di nuovo verso l’Ungheria, da dove sono inviati direttamente in Austria. Nella scorsa settimana, la Croazia ha chiuso alle auto sette degli otto punti-frontiera con la Serbia, prima di fermare il traffico camionistico per mettere pressione su Belgrado. Anche la Slovenia ha installato a sua volta una barriera attorno al punto-frontiera di Bregana, per impedire ai profughi di entrare nello spazio Schengen.
Per il primo ministro croato Zoran Milanović, sentito da B92, la Serbia permette ai profughi di “andare in giro indisturbati per il paese, finché si ritrovano al confine nord con l’Ungheria, che è chiuso, e da lì li rimanda in maniera organizzata, con i bus, fino al confine croato”. Il governo socialista croato rischia una sconfitta elettorale alle prossime elezioni politiche, dopo aver già perso la presidenza del paese a favore della destra dell’HDZ. Per Milanovic, la Croazia può farcela ad accogliere “4.000 o 5.000 persone al giorno. Ma più di questo non possiamo fare. Non permetterò che la Serbia si prenda gioco di noi.”
Per ritorsione contro quella che ritiene una mossa ingiustificata, Belgrado ha deciso giovedì il blocco delle importazioni delle merci croate. Per il ministro serbo degli interni, Nebojša Stefanović, “queste contromisure non ci rendono felici, ma sono necessarie per difendere il nostro paese. Non possiamo credere che l’Unione europea lascerà perdurare questa situazione, la chiusura della frontiera è una violazione delle norme internazionali”. Il premier serbo Aleksandar Vucic ha anche inviato una lettera a Bruxelles, denunciando la violazione dei termini dell’Accordo di Stabilizzazione e Associazione (ASA) tra UE e Serbia, da poco entrato in vigore, da parte della Croazia.
Il primo ministro croato Zoran Milanović ha confermato che il blocco continuerà: “avevo previsto la riapertura [del confine di Bajakovo] per oggi, ma dobbiamo reagire alle contromisure serbe. Sono desolato per ciò che succede con la Serbia, ma tutto ciò che chiediamo è che una parte dei rifugiati siano rediretti verso Horgoš e la frontiera ungherese”, ha aggiunto il premier croato all’uscita dal Consiglio europeo.
Il costo economico del blocco, intanto, aumenta. Per il ministro serbo del commercio, Rasim Ljajić, “la Serbia perde dei milioni per via della chiusura delle frontiere dei paesi vicini. Le perdite saranno enormi, perché la Croazia e l’Ungheria sono tra i principali partner commerciali del paese, e dei paesi di transito necessario per l’esportazione dei prodotti serbi.” Da più giorni, una coda enorme di camion si è formata sull’autostrada Belgrado-Zagabria.
Non sono mancate le parole grosse tra i due vecchi nemici-amici. La Serbia ha pubblicato una nota in cui paragona il blocco delle frontiere alle “misure discriminatorie prese all’epoca fascista dello Stato Indipendente di Croazia” – un paragone giudicato “offensivo, inappropriato, inaccettabile” dall’ambasciatore croato a Belgrado. “I problemi legato all’afflusso massiccio di rifugiati dovrebbero essere risolti in uno spirito di buon vicinato e di solidarietà europea, e grazie ad una cooperazione costruttiva… Nella situazione attuale, possiamo solo coordinare i nostri sforzi e continuare a ridurre la pressione comune alle frontiere”, sottolinea il comunicato.
Le misure prese dalla Croazia sono al vaglio della Commissione europea. Secondo l’accordo ASA, ogni restrizione alla libera circolazione di merci e persone dev’essere proporzionata, non discriminatoria e temporanea. “Stiamo al momento esaminando se la Croazia agisce in tal senso”, ha riferito la portavoce Natasha Bertaud. Anche il capo delegazione UE a Belgrado, Michael Davenport, ha sottolineato che le frontiere devono restare aperte. I Commissari UE, Federica Mogherini e Johannes Hahn, hanno invitato i leader politici di Serbia e Croazia ad un dialogo diretto per risolvere la questione.
Il Commissario europeo all’allargamento, Johannes Hahn, sarà oggi a Belgrado per discutere della crisi e portare solidarietà alla Serbia. “Sono grato alla Serbia per la gestione competente e resistente della crisi dei rifugiati. La Serbia sta garantendo condizioni di vita decenti per i rifugiati, in linea con gli standard internazionali. L’UE è al fianco della Serbia in questa crisi pan-europea, che può essere risolta solo con un approccio comune. Solo questa settimana, altri 17 milioni di euro sono stati dedicati al sostegno di Serbia e Macedonia nella crisi dei rifugiati”.
Un vertice UE sulla questione della “rotta balcanica” dei profughi è previsto l’8 ottobre a Lussemburgo (inizialmente avrebbe dovuto tenersi a Budapest, ma ragioni di opportunità politica hanno spinto allo spostamento). Alcuni paesi UE d’Europa centrale vorrebbero organizzare dei campi profughi direttamente nel nord della Serbia. Il ministro degli interni croato Ostojic non è rimasto particolarmente impressionato dai risultati del vertice UE di mercoledì: “Quando non si è capace di accordarsi su delle quote per 120.000 persone, non ho niente da fare: rappresento un paese in cui sono entrati 35.000 rifugiati in una settimana”, aveva dichiarato all’uscita.
Nel frattempo, il centro culturale serbo « Danilo Kiš » di Lubiana, in Slovenia, ha pubblicato una petizione al segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, e alla cancelliera tedesca, Angela Merkel, per l’apertura di un “corridoio umanitario” come “misura temporanea” per proteggere le decine di migliaia di profughi in cammino dalla Grecia lungo la rotta dei Balcani verso la Germania e la Scandinavia.