di Matteo Zola
Si sono tenute le elezioni in Kazakistan, una farsa come sempre. E come sempre ha vinto Nazarbayev che guida il paese da quando, nel 1991, ha ottenuto l’indipendenza dall’Unione Sovietica. Il parlamento, che è costituito quasi interamente da membri del suo partito, ha già votato una legge che consente a Nazarbayev di ricandidarsi alla presidenza all’infinito. L’intenzione era quella di saltare a piè pari la tornata elettorale che ha appena avuto luogo, in effetti a che sarebbe servita? Così a inizio gennaio il parlamento aveva presentato la proposta per un referendum che – se approvato – avrebbe consentito al presidente di eludere le elezioni previste per il 2012 e per il 2017 e restare automaticamente in carica fino al 2020. La Corte Costituzionale lo ha respinto definendolo «non conforme alla Costituzione». Il presidente ha reagito fissando queste elezioni plebiscitarie, pare abbia vinto con il 90% dei consensi.
Il Kazakistan offre però occasioni di riflessione. Una su tutte, dalle quali altre ne discendono, i confini di quella cosa chiamata “democrazia“. In Kazakistan c’è un parlamento, si tengono elezioni, e c’è persino una Corte Costituzionale che fa lo sgambetto al presidente. Basta questo a fare una democrazia? Evidentemente no, e il Kazakistan è un esempio lampante di quelle “democrature” che sempre di più infestano il mondo. Esempi eccellenti sono la Russia, l’Ucraina, alle porte d’Europa. E dentro?
La Bulgaria, forse. Borissov e compagnia sono a capo di una consorteria di corrotti e mafiosi che persino l’Unione europea ha cercato di fermare, pur blandamente, sospendendo l’erogazione di fondi comunitari che finivano impropriamente nelle tasche dei politici e degli imprenditori amici.
La Serbia, ma non fa parte dell’Unione Europea. A Belgrado, tra potere giudiziario asservito a quello politico e criminali di guerra a piede libero, e debitamente protetti, con la mafia che fa salatare in aria primi ministri e giornalisti, non si può certo parlare di una nuova Atene.
La Croazia, può darsi. Qui l’ex premier è stato arrestato poiché coinvolto in una cupola politico-mafiosa che cercava di governare occultamente il paese.
E l’Italia? Bungabunga a parte, qui il primo ministro ha elogiato proprio Nazarbayev e la sua “democrazia” in cui tutto “lo amano” e quindi “lo votano”. Il virgolettato è tratto da dichiarazioni del premier italiano.
Insomma, il confine è sottile. La tirannide può avere le sembianze della democrazia, per questo si rischia di non riconoscerla. Certo, ci sono differenze sensibili tra i due estremi qui, un po’ strumentalmente, presentati: il Kazakistan non è mai stato una democrazia, né mai ha voluto diventarlo. Esistono regole, ma facili da manipolare, e l’abitudine a un esercizio monocratico del potere. L’Italia conosce la democrazia da secoli, dai tempi di Roma repubblicana, e pur passando attraverso tutte le più oscure pieghe della storia ha saputo produrre, dopo il fascismo, una democrazia completa e forte e ancora oggi, malgrado tutto, non piegata ma erosa, scavata al suo interno, al punto da mettere in pericolo il reale equilibrio dei poteri.
Troppo spesso si confonde il diritto di voto, la libertà di parola, l’esistenza di un parlamento, con la democrazia. Ma se il voto è manipolato e impoverito da populismi mediatici, allora la libertà è “obbligatoria”; e se alla possibilità di dire qual che si vuole non si accompagna (a monte) quella di pensare, di poter sviluppare un pensiero diverso da quello “comune” o “ufficiale” perché mancano scuole che insegnino a svilupparlo; se l’autonomia del potere giudiziario è sempre più limitata e aggirata da leggi create ad arte; e se il parlamento è solo un bivacco di politici prezzolati o, peggio, di attori o ballerine che recitano per il potente di turno una messa in scena che si ostinano a chiamare “democrazia”… ecco, allora la democratura è dietro l’angolo. Il Kazakistan a tre passi da qui.
Le elezioni non fanno una democrazia da sole (vedi Iraq) ma ne restano, quando free & fair e accompagnate da libertà d’espressione, una componente fondamentale. Il Democracy Index dell’Economist dà il Kazakistan al 132° posto su 167, come “regime autoritario” (e come dargli torto). I paragoni con Italia (29°), Bulgaria (51°), Serbia (65°) e Ucraina (67°) mi sembrano un po’ forzati, per quanto la vigilanza vada tenuta alta. L’Italia è caduta, dal 2008, nella sezione “flawed democracies” assieme alla Grecia, alla Francia, ed altri.
http://en.wikipedia.org/wiki/Democracy_Index
Non nego la forzatura, lo dico anche nell’articoletto di cui sopra. Alle classifiche credo poco, benché utili a farsi un’idea del livello di democrazia (o libertà di stampa, o parità delle donne…) preferisco guardare all’atto pratico: se Mangano è lo stalliere del premier, e Dell’Utri il trait-d’union (http://www.narcomafie.it/2010/11/22/sentenza-dellutri-langoscia-la-sofferenza-la-vergogna/) se all’Aquila ci sono trecento inchieste aperte tra cui alcune per infiltrazione mafiosa che vedono coinvolti i vertici della protezione civile, se Sanader è arrestato per associazione a delinquere (in Croazia manca il reato di associazione mafiosa)… insomma, sarò tranchant, ma di democrazia ne vedo poca. Poi, sono pur sempre un (piccolo) giornalista: le iperboli sono il mio pane 🙂 Un saluto!