I vicoli di Bucarest si materializzano come acquerelli di artisti di strada intenti a fare schizzi della vita che scorre. Sempre che non ci sia qualcuno disposto a fermarsi un istante per parlare anche di loro con un tratto di penna, scattando l’istantanea di una società in fermento che veleggia verso la modernità e non riesce a staccarsi dal cordone ombelicale del suo passato. Non una, ma ventotto volte, grazie ad altrettanti personaggi. Tutti femminili, pur con qualche intrusione maschile che ogni tanto fa capolino.
Una situazione a tratti paradossale e vivida che Giancarlo Repetto, professore italiano in un liceo della capitale rumena, è riuscito a descrivere a colpi di pennellate d’inchiostro nel suo ultimo romanzo (Ventotto tagli di Luna, Neos edizioni). Una raccolta di racconti in apparenza slegati tra loro eppure figli dello stesso destino, che più volte sembra tessere la sua trama nella vita delle attrici inconsapevoli di ogni spaccato narrativo. Il comune denominatore è quasi sempre lo stesso: Bucarest e la rivoluzione del 1989, con le sue storie interrotte e misteriose tracce di non detto.
Nella galleria di personaggi si coglie la sensibilità dell’autore nei confronti del mondo che lo circonda, in una sorta di “cosmopolitismo classista” nel quale ogni categoria sociale conserva la sua dignità: dalla zingara Ramayana alla bibliotecaria con un passato nella Securitate; dalla badante che cerca sogni da realizzare in un giorno qualunque d’estate alla giornalista ottusa che registra frammenti di memoria in casa di una sopravvissuta nei lager nazisti nostalgica del comunismo. Non tutte le figure raccontate sono reali, ma poco importa. Molte delle situazioni descritte infatti sono vere o realmente accadute, così come le aspettative che ogni novella estrinseca, motore inesauribile di una Romania contraddittoria che si lecca le ferite e poi ama tornare indietro.
“Ho scelto di scrivere 28 racconti perché c’è un esplicito riferimento al ciclo lunare e della donna. L’universo femminile mi interessa da sempre – spiega Repetto – e vivendo a Bucarest ho avuto modo di analizzare molti personaggi di quel tipo. Non a caso, le protagoniste dei miei brevi racconti sono donne che ho conosciuto oppure ho visto anche solo per un attimo. Ogni storia nasce da un qualcosa che mi è effettivamente accaduto. Per fare un esempio, la zingara Ramayana vive vicino a casa mia. Ramona non esiste, ma ho davvero ricevuto il messaggio con il quale inizia il racconto. Ho cercato di dare spazio a personaggi abbastanza diversi tra di loro, i quali avessero però un fattore comune: l’intelligenza emotiva delle donne, la loro forza e le loro fragilità”.
Se ne ricava un quadro composito anche grazie allo stile narrativo, che prevede continui flash-back e finali inaspettati, come se l’autore avesse voluto restituire la vita nella sua crudezza senza cedere a banali convenzioni filmesche. L’intento principale non è rassicurare ma far riflettere, offrendo al lettore la possibilità di esplorare frammenti di vissuto nascosti nelle pause forzate della vita frenetica che si alimenta di incontri casuali.
A Giancarlo Repetto Bucarest era piaciuta subito, anche se ci vive stabilmente dal 2008. Una vita spesa per l’insegnamento in Italia. Poi la svolta, dopo aver coronato un sogno nel cassetto. “Grazie al Ministero ho potuto partecipare a un concorso per insegnare all’estero. Una grande soddisfazione.” Della città lo colpisce soprattutto l’abbraccio architettonico tra bello e brutto, che si manifesta in una convivenza molto particolare tra edifici di stile diverso disposti a parlarsi tra loro. E che ritrova anche tra i rumeni adulti, figli della rivoluzione, e le generazioni post-comuniste: “Il dialogo tra adolescenti e genitori a volte è forzato – precisa Repetto – e quando insegno devo lavorare sospeso tra la voglia di spaccare il mondo dei miei ragazzi e la rassegnazione dei loro padri, cresciuti nella paura, come se fossero stati diseducati alla vita”. La sua è una Bucarest in bianco e nero (titolo di un precedente romanzo) nella quale le storie passate continuano a modellare la vita dei suoi personaggi. E diverse sono le reazioni, perché c’è chi si fa condizionare e chi coglie l’occasione per andare avanti scavando dentro se stesso, anche a costo di scontrarsi con fantasmi che si fanno solidi.
Ma la vita continua, e la voglia di vivere che hanno oggi i giovani rumeni è ansia di riscatto, non solo pretesa di dimenticare. “Nella sua breve storia della Romania lo storico Neagu Djuvara fa un breve elenco delle cose che il regime comunista ha rubato al suo popolo, mettendo al primo posto l’anima. Ma da quella disumanizzazione forzata i miei ragazzi sono stati risparmiati. Il futuro è nelle loro mani”.
Foto: gato-gato-gato, Flickr