Un’imboscata del PKK che scuote il paese, un commento del presidente Erdoğan e l’interpretazione che ne ha fornito il quotidiano di opposizione Hurriyet: tre eventi che nel giro di qualche ora hanno fatto sprofondare la Turchia nel caos. Mentre gli scontri e gli atti di vandalismo a Istanbul, Ankara e nelle principali città del paese non accennano a diminuire, cresce il rischio che a pagare il prezzo più alto siano i cittadini di etnia curda – che spesso nulla hanno a che vedere col PKK – in quella che assomiglia sempre più a una vera e propria ‘caccia al curdo’.
Imboscata del PKK a Dağlica
L’attentato del PKK è avvenuto domenica 6 settembre a Dağlica, piccolo centro del sud-est fra le montagne al confine con l’Iraq. Secondo la ricostruzione degli eventi fornita dallo Stato maggiore turco, una mina è esplosa al passaggio di un convoglio di un team di sminatori che stava effettuando un sondaggio nella valle Doski. Pochi minuti più tardi una seconda mina, anche questa attivata a distanza, ha fatto saltare in aria una pattuglia di militari che era giunta in soccorso. Il PKK ha rivendicato l’attentato e ha parlato di 31 morti, pubblicando a qualche ora di distanza un video che mostra l’attacco di Daglica. Secondo l’esercito, invece, il bilancio definitivo è di 16 morti e 6 feriti.
L’episodio ha avuto vasta eco in tutto il paese. Si tratta dell’attacco più sanguinoso compiuto dal PKK negli ultimi anni. Inoltre i militari sopraggiunti sul luogo non sarebbero riusciti a recuperare alcuni dei cadaveri dei loro commilitoni a causa dell’intensa sparatoria che è seguita all’attentato. La risposta turca è arrivata in giornata, quando i caccia hanno bombardato 13 postazioni del PKK nella zona. Nella notte di lunedì l’esercito ha intensificato i raid impiegando almeno 50 caccia. La provincia di Hakkari, dove si trova Dağlica, è teatro da tre settimane di violentissimi scontri fra esercito e militanti curdi.
Le parole di Erdoğan
I fatti di Dağlica hanno innescato una reazione a catena che sta facendo sprofondare Ankara e Istanbul nel caos. La miccia l’ha accesa il presidente Erdoğan con una dichiarazione quanto meno incauta. Durante un’intervista dal vivo per il canale A-Haber, proprio mentre i media iniziavano a contare i morti di Dağlica ma senza fare esplicito e chiaro riferimento a quell’attentato, Erdoğan ha affermato che “se un partito avesse ottenuto 400 seggi alle elezioni e avesse raggiunto i numeri richiesti in parlamento per cambiare la costituzione, la situazione sarebbe diversa”. Parole che alle orecchie di molti sono suonate come una tragica presa in giro.
Il leader del partito di opposizione CHP ha accusato il presidente di non riuscire a pensare ad altro che ai propri disegni politici, pur se in mezzo a una spirale di violenza senza precedenti. L’affermazione di Erdoğan infatti richiama il principale obiettivo dell’AKP alle elezioni dello scorso 7 giugno, naufragato dopo la debâcle alle urne dove non ha ottenuto nemmeno la maggioranza assoluta dei seggi.
Assaltata la sede di Hurriyet
Ma è stato un tweet del quotidiano di opposizione Hurriyet a dare il via al caos che si sta allargando a tutte le principali città del paese. Il cinguettio incriminato suggeriva che le parole di Erdoğan facessero riferimento proprio ai morti di Dağlica: in pratica un’accusa di sciacallaggio. Benché il tweet sia stato cancellato poche ore dopo, numerosi sostenitori dell’AKP hanno inscenato manifestazioni improvvisate per denunciare quella che a loro sembrava un’insinuazione in malafede. E la situazione è scappata di mano.
Un gruppo di circa 150 manifestanti – riporta l’AFP – ha assaltato la sede del quotidiano con pietre e bastoni. Dopo aver sfondato la porta d’ingresso e bloccato gli uomini della sicurezza, gli assalitori hanno bruciato la bandiera del gruppo Dogan (che controlla Hurriyet) per sostituirla con quella turca. Dogan, come diverse altre aziende con interessi nei media e nei principali settori dell’economia, è considerata vicina all’ex alleato di Erdoğan, Fethullah Gulen, contro il quale il presidente ha ingaggiato una battaglia che si trascina da anni accusandolo di aver creato uno stato parallelo e di voler sovvertire le istituzioni del paese. I manifestanti hanno mantenuto un presidio di fronte all’edificio per tutta la notte.
La rabbia dei nazionalisti colpisce i cittadini curdi
Incursioni e atti vandalici sono proseguiti durante la notte di lunedì. Fra i principali obiettivi figurano le sedi del partito filo-curdo HDP, considerato negli ambienti nazionalisti turchi contiguo – se non perfettamente allineato – alle posizioni del PKK. In diversi distretti di Istanbul le sedi locali del partito sono state attaccate, in alcuni casi i manifestanti hanno tentato di dare gli edifici alle fiamme, in altri si sono limitati a esporre la bandiera turca dalle finestre. Analogo destino è toccato alle sedi HDP di Isparta, Antalya, Edirne. Il bilancio parziale diffuso da alcuni attivisti del partito parla di 126 sezioni colpite.
Ma gli eventi hanno preso una piega ancora peggiore. Dal distretto di Beypazari di Ankara continuano ad arrivare notizie di attacchi diretti contro la popolazione curda, in particolare contro cittadini che risiedono da tempo nel quartiere. Apparentemente la sola motivazione è quella etnica, basata con tutta probabilità sull’equazione curdo=sostenitore del PKK: un’immagine ben diversa dalla realtà. La ‘caccia al curdo’ ad ogni modo ha prodotto scene da vera e propria guerra civile. In molti casi alle abitazioni è stato dato fuoco, così come ad alcuni bancomat.
Secondo altre fonti folle di manifestanti avrebbero preso di mira le stazioni degli autobus delle principali città del paese, nel tentativo di impedire la vendita di biglietti per le province del sud-est, regione a maggioranza curda. Alcuni autobus diretti verso Diyarbakir sono stati assaltati in corsa con pietre e lanci di oggetti. In almeno un caso, però, i responsabili con buona probabilità sono attivisti filo-curdi: sarebbe di 13 poliziotti morti il bilancio dell’assalto a un bus vicino a Iğdır. In risposta a quest’ultimo attacco, durante la giornata di martedì reparti militari turchi sono entrati via terra nel nord dell’Iraq per colpire le basi arretrate del PKK. Fonti militari di Ankara hanno parlato di un’incursione di breve durata, che ad ogni modo segna un’escalation nel conflitto. L’ultimo intervento via terra infatti risale al 2011.