Il governo slovacco ha annunciato la sua partecipazione al programma europeo di ridistribuzione delle decine di migliaia di richiedenti asilo arrivati sul continente da Africa e Medio Oriente. Bratislava ha annunciato che avrebbe accettato di accogliere 200 rifugiati (la chiave di redistribuzione in base a PIL e popolazione, studiata dalla Commissione europea, ne prevedeva 319 per il paese carpatico). Un numero limitato, ma non è tutto: dovranno essere cristiani. “In Slovacchia non abbiamo moschee.” Per cui, secondo quanto dichiarato da un portavoce del ministero dell’interno slovacco al Wall Street Journal, “vogliamo solo scegliere i cristiani.“
La guerra civile in Siria, in corso ormai da tre anni, e il consolidamento dell’ISIS tra Siria e Iraq, hanno fatto ormai più di 200.000 morti e più di 4 milioni di rifugiati, la peggiore crisi umanitaria di questa generazione. Di questi, la maggior parte restano nei paesi limitrofi: Turchia, Libano, Giordania ne ospitano quasi un milione a testa. Gli altri hanno iniziato a spostarsi più lontano. La Germania ha appena annunciato di aver revisionato verso l’alto le stime dei richiedenti asilo in arrivo per il 2015: 800.000, il triplo dei 250.000 attesi – e l’ammontare maggiore dalla seconda guerra mondiale, peggio che al tempo della crisi del Kosovo nel 1998 – annunciando un piano straordinario per prendersene cura, e dichiarando che “è anche tempo di soluzioni europee“. La stessa Austria si aspetta di ricevere 80.000 richiedenti asilo nel 2015.
Di fronte a tali cifre, il piccolo nichilismo della Slovacchia o dell’Ungheria – che sta terminando di costruire la sua barriera di filo spinato lungo il confine serbo, già “bucata” dai primi rifugiati dotati di cesoie – sembra davvero poca cosa. La Slovacchia si nasconde dietro un dito, e il governo di Roberto Fico – nominalmente socialista – utilizza gli stessi apparati retorici del vicino di destra Viktor Orban. Slovacchi e magiari normalmente non si amano, ma fanno presto a fare fronte comune contro persone che fuggono dalla guerra e che si trovano ad avere un colore della pelle e una confessione religiosa diversa – come già contro i rom, d’altronde.
Un problema inventato, quando tutta l’Europa centrale ha un numero di immigrati estremamente basso, e ancora meno di popolazione di fede musulmana – neanche lo 0,2% sui 5 milioni di slovacchi. Nel 2014, la Slovacchia ha concesso asilo politico in tutto a 14 (quattordici) persone – il valore più basso sul totale dell’UE – pur riconoscendo altre forme di protezione internazionale (protezione sussidiaria e per motivi umanitari) a circa il 60% dei richiedenti. La vicina Ungheria di Orban, invece, ha visto quintuplicare rispetto al solito le richieste d’asilo nel 2013 (4.545) e 2014 (5.445), e ne ha respinte il 90% – la quota più alta dell’intera Unione.
D’altronde, pare verificato il paradosso del multiculturalismo: al contrario della Germania, i paesi centroeuropei, che hanno i più bassi numeri di immigrati e di persone di fede musulmana, sono anche i più chiusi e i più proni al razzismo e alla xenofobia contro quel diverso che non conoscono e che non hanno mai incontrato. Non si spiega altrimenti la crescita di movimento come quello di Tomio Okamura (anch’egli immigrato, per assurdo, ma dal Giappone) contro l’islamizzazione – inesistente – della Repubblica Ceca.
“Chi ha bombardato la Libia? Chi ha creato problemi in Nord Africa? La Slovacchia? No”, si giustifica il populista-socialista Fico. “Non possiamo tollerare un influsso di 300 o 400.000 immigrati musulmani che vorrebbero iniziare a costruire le proprie moschee sulla nostra terra e iniziare a cambiare la natura, cultura e valori del nostro paese,” ha continuato con retorica da perfetto leghista.
Numeri a caso, per giustificare pulsioni razziste che seguono la pancia dell’elettorato. Nei mesi scorsi, un villaggio presso la capitale Bratislava ha tenuto un referendum sulla costruzione di un centro d’accoglienza per accogliere 500 rifugiati, temporaneamente ospitati nella vicina e sovraffollata Austria. Il 97% ha votato no. Così, a 26 anni da quel “picnic paneuropeo” che il 29 agosto 1989 aprì la cortina di ferro ai rifugiati tedesco-orientali che passavano dall’Ungheria all’Austria, l’Europa centrale è passata ad innalzare le proprie cortine e le barriere. D’altronde gli statisti sono coloro che sono in grado di guidare il proprio elettorato. I politici mediocri – e sembra che l’Europa, centrale e no, ne sia piena – si limitano a seguirli.