Azerbaigian: Rasim Aliyev, giornalista da sempre impegnato nella difesa dei diritti umani nel suo paese, è deceduto il 9 agosto in seguito a un attacco apparentemente dovuto a uno status su Facebook dove il giornalista criticava un calciatore della nazionale per avere sventolato una bandiera turca in una gara contro una squadra cipriota
Negli ultimi giorni in Azerbaigian è stato messo in atto l’ennesimo attacco contro la libertà d’espressione. Dopo il processo contro la giornalista investigativa Khadija Ismayilova, e dopo la lettera inviata al presidente Aliyev contro Emin Milli, il direttore di Meydan TV, scritta da un nutrito gruppo di familiari dello stesso Milli per disconoscerlo, un altro triste capitolo legato al problema della libertà d’espressione si è aperto nel paese caucasico. Nella mattina del 9 agosto è infatti arrivata la notizia della morte del giornalista Rasim Aliyev, solo omonimo del presidente Ilham Aliyev, vittima il giorno prima di un’aggressione avvenuta in circostanze incredibili.
Rasim Aliyev, giornalista di ann.az (Azerbaijan News Netork), nonché membro di IRFS (Institute for Reporter’s Freedom and Safety), nella giornata dell’8 agosto era stato improvvisamente aggredito da un gruppo di sei uomini che lo avevano picchiato brutalmente. Ricoverato in ospedale a Baku, Aliyev si è poi spento il giorno successivo a causa della gravità delle ferite riportate. Il tutto sembra essere nato da un semplice status postato su Facebook dal giornalista azero qualche giorno prima dell’aggressione, dove criticava il comportamento di un calciatore della nazionale del suo paese militante nel Qabala FC, squadra azera attualmente impegnata nei preliminari di Europa League.
Javid Huseynov, questo il nome del calciatore in questione, era stato criticato da Rasim Aliyev per aver sventolato provocatoriamente una bandiera turca in occasione della gara tra il suo Qabala e i ciprioti dell’Apollon Limassol, valida per il terzo turno di qualificazione in Europa League. Ricordiamo che nel 1974 l’isola di Cipro venne invasa dall’esercito turco, e da allora è rimasta divisa in due parti: una parte sud-occidentale, rimasta sotto il controllo dei greco-ciprioti, e una parte nord-orientale, dove è stata costituita la Repubblica Turca di Cipro del Nord, autoproclamata e non riconosciuta dalla comunità internazionale. A Huseynov non è bastato però sventolare la bandiera turca di fronte al pubblico cipriota. Una seconda provocazione è avvenuta in seguito alla partita, quando intervistato da un giornalista greco che gli aveva chiesto spiegazioni sull’episodio, il calciatore della nazionale aveva risposto con un gesto osceno.
Indignato per l’accaduto, Rasim Aliyev ha deciso così di denunciare il comportamento scorretto di Huseynov, affidandosi a Facebook per esprimere il proprio pensiero. Queste sono state le poche parole di condanna che il giornalista azero ha rivolto al calciatore del Qabala tramite il famoso social network:
“Huseynov non sa come comportarsi, è immorale e maleducato. Non voglio che qualcuno di così immorale, sfacciato e incapace di controllarsi mi rappresenti sui campi di calcio europei”
Tanto è bastato per scatenare odio e rancore tra i parenti del calciatore, che hanno deciso di vendicarsi del giornalista mettendolo a tacere per sempre. Tutto è nato da una telefonata – come raccontato dallo stesso rasim Aliyev in un’intervista rilasciata poco prima del decesso – effettuata da un presunto cugino di Huseynov, il quale si era scatenato contro il giornalista gridando e insultandolo. A questa prima telefonata ne era poi seguita una seconda, nella quale lo stesso uomo usando toni completamente diversi si scusava dell’accaduto, invitando Aliyev a chiarire l’accaduto davanti a una tazza di tè insieme allo stesso calciatore della nazionale.
L’incontro però, si è rivelato essere una perfida trappola. Arrivato all’appuntamento, Rasim Aliyev, appena dopo essere uscito dal proprio veicolo, è stato inizialmente avvicinato da un primo uomo, presentatosi come il parente di Huseynov con il quale aveva parlato al telefono, dopodiché sono comparse all’improvviso altre cinque persone, e tutti insieme hanno iniziato a colpirlo violentemente. Il giornalista è poi stato ricoverato d’urgenza in ospedale, ma tutti i tentativi di rianimarlo sono stati inutili: i traumi riportati in seguito all’aggressione erano troppo gravi, e il giornalista si è spento il giorno seguente, tra la disperazione e l’incredulità dei familiari.
L’assistenza ricevuta da Rasim Aliyev in ospedale ha fatto però discutere: tra i familiari del giornalista c’è infatti chi ha accusato il personale dell’ospedale di negligenza, sostenendo che Aliyev non sia stato soccorso efficacemente in seguito all’aggressione subita. Guler Abbasova, la fidanzata di Aliyev, in seguito alla morte del compagno, rilasciando un’intervista alla radio Azadliq si è lamentata del fatto che non si sia fatto nulla per assistere il giornalista in seguito al suo ricovero in ospedale: secondo la Abbasova infatti, la morte di Aliyev sarebbe da ricondurre alla pessima assistenza medica fornitagli; la donna ha inoltre dichiarato come il compagno, poco prima del ricovero in ospedale, le avrebbe detto di non preoccuparsi, in quanto le ferite riportate in seguito l’aggressione non erano niente di serio.
In seguito alla morte del giornalista, il presidente Ilham Aliyev ha immediatamente ordinato l’apertura di un’inchiesta rapida e approfondita per fare luce sull’accaduto. L’inchiesta in corso sulla morte del giornalista azero fino a questo momento ha portato all’arresto di sei persone, tra le quali spicca lo stesso Huseynov, il quale è stato anche allontanato dalla sua squadra, il Qabala, che attraverso un comunicato ufficiale ha annunciato la sospensione del giocatore fino a quando non sarà stata fatta più chiarezza sull’accaduto. Come dichiarato dalla polizia locale, a carico di Huseynov sono state mosse accuse di favoreggiamento, complicità e false dichiarazioni.
Sempre il presidente Ilham Aliyev, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa locale Azartac, si è detto seriamente preoccupato per l’accaduto, affermando che avrebbe supervisionato personalmente le indagini sulla morte del giornalista. Alcune associazioni internazionali, come Amnesty International, hanno però chiesto al governo azero di condurre indagini indipendenti e imparziali, per fare veramente chiarezza sulla morte del giornalista, ricordando come già nel 2005 il presidente azero promise di supervisionare personalmente l’inchiesta sull’uccisione del giornalista Elmar Huseynov, caso che però poi rimase irrisolto.
Ha fatto inoltre discutere anche una seconda affermazione del presidente azero, il quale ha definito l’aggressione a Rasim Aliyev “un episodio molto grave, che minaccia seriamente la libertà d’espressione”. Già, la libertà d’espressione, uno dei principali diritti fondamentali, spesso messa in discussione nel paese caucasico, e a difesa della quale lo stesso Rasim Aliyev si era sempre battuto nel corso della sua carriera da giornalista.
Sì, perché la carriera di Aliyev, giornalista freelance da sempre critico nei confronti del governo di Baku, non è mai stata semplice, ma ha invece presentato numerosi ostacoli. Aliyev non era infatti nuovo a minacce e aggressioni, come quando nel 2013, mentre stava seguendo da vicino una protesta organizzata dall’opposizione, venne attaccato da un agente di polizia che lo colpì con un pugno in faccia, nonostante indossasse una pettorina che lo identificava come giornalista.
Come conferma la storia di Rasim Aliyev, l’Azerbaigian non è un paese per giornalisti. La repubblica caucasica si trova attualmente al 162° posto su 180 paesi nella classifica “World Press Freedom Index” di Reporters without borders; e secondo Freedom House la stampa nel paese caucasico è ritenuta “non libera“, con punteggi che vanno di anno in anno peggiorando. Diversi giornalisti e attivisti sono attualmente detenuti in Azerbaigian a causa delle loro posizioni antigovernative e delle critiche espresse nei confronti dell’attuale sistema politico; altri ancora sono invece costretti a subire minacce e intimidazioni sempre a causa del loro lavoro. L’omicidio di Rasim Aliyev non va quindi visto come un caso isolato, ma deve essere letto nel contesto di un paese dove esprimere la propria opinione, anche solo su un giocatore di calcio, può avere conseguenze serie.