Il 18 giugno il parlamento macedone ha approvato una legge che permette ai migranti di attraversare il paese in maniera regolare e quindi anche con la protezione della polizia, a patto che questo avvenga nel lasso di tempo di 72 ore dalla registrazione presso le stazioni di polizia.
La Macedonia, animata in questi mesi da movimenti di protesta di varia natura, sta assistendo a sua volta al transito di disperati che dalla Grecia cercano di raggiungere la Serbia e quindi l’Ungheria. Il fatto non è nuovo. Già a dicembre del 2014 era apparsa la notizia, passata in sordina, dei primi investimenti lungo le linee ferroviarie di migranti che, seguendo il percorso del “Corridoio 10″, cercavano di raggiungere il nord del paese. Secondo la legge, infatti, chi era irregolare nel paese non poteva fare uso di mezzi pubblici, nemmeno con il biglietto pagato. Gli investimenti si sono ripetuti nei mesi successivi, fino a quello di aprile in cui 14 persone hanno perso la vita nei pressi di Veles. I migranti, intanto, si erano arrangiati con mezzi di fortuna ed avevano iniziato ad attraversare il paese con qualsiasi mezzo, anche in bicicletta.
La popolazione macedone, a seguito dell’appello lanciato dall’ONG Legis, alla fine del mese di maggio ha iniziato a raccogliere beni di prima necessità per i migranti ed ad aiutarli ad attraversare il confine, nonostante ciò sia illegale. La popolazione in generale è solidale coi migranti, a cui cerca di offrire coi mezzi disponibili cibo e riparo.
Il movimento antigovernativo #Protestiram ha deciso di sostenere Legis, portando l’attenzione sui diritti dei migranti e sulle condizioni di quelli che sono stati fermati e si trovano nel centro di detenzione di Gazi Baba (un quartiere di Skopje), raggiunto dagli attivisti durante uno dei cortei quotidiani che organizza. Alla fine della manifestazione i migranti hanno consegnato un messaggio per la popolazione macedone, contenente una richiesta di aiuto.
Da domenica 14 giugno l’attivista Suad Misini si trovava davanti al parlamento per uno sciopero della fame affinché venissero soddisfatte tre principali richieste: adozione di una nuova legge sul diritto di asilo, che dia la possibilità ai migranti di transitare nel paese e di usare i mezzi di trasporto pubblico, che venga garantita la sicurezza da parte della polizia ai migranti ed infine che vengano rilasciati i migranti detenuti nel centro di Gazi Baba.
Ma l’attenzione sulla condizione dei rifugiati che attraversano la Macedonia a livello internazionale si è accesa solo quando Channel 4 ha proiettato un’inchiesta sui migranti maltrattati, rapiti e derubati da bande criminali, alle quali spesso i testimoni fanno riferimento come “mafia albanese, ma molto più probabilmente costituite da altri migranti collusi con la criminalità locale. Il fatto era già stato denunciato a maggio da una TV locale.
Il governo macedone si trova tra due fuochi, quello della popolazione e della società civile che richiede maggiori diritti per i migranti e quello dell’Unione Europea, che richiede al paese di conformarsi al sistema europeo, costruendo un sistema domestico di asilo, prendendosi carico delle richieste di asilo da parte dei migranti che entrano sul suo territorio, e accordandosi coi paesi d’origine per accordi di riammissione.
In un contesto internazionale sempre più complesso, in cui il numero delle persone in fuga da conflitti e miseria, secondo l’UNCHR è in continuo aumento, sta emergendo in maniera chiara come la situazione non sia problematica solo sulle coste del Mediterraneo, ma anche nella penisola balcanica, attraversata da sud a nord da migranti e richiedenti asilo in cerca di una vita migliore in Europa.
Il fenomeno si poteva notare già negli anni scorsi: con l’aggravarsi della crisi siriana un numero sempre maggiore di richiedenti asilo attraversava la Turchia per arrivare in Bulgaria, per poi di raggiungere altri paesi dell’Unione Europea. La Bulgaria, nel tentativo di contenere il flusso, nel corso dell’ultimo anno ha sviluppato un vero e proprio muro, una barriera lunga 160 km costruita lungo il confine con la Turchia. In Serbia l’anno scorso la popolazione aveva reagito violentemente alla presenza nei boschi di un consistente numero di rifugiati, nella maggior parte dei casi abbandonati a se stessi ed alle intemperie. E intanto,il premier ungherese Viktor Orbán ha promesso di costruire al più presto, a sua volta, un muro al confine con la Serbia. Ma non saranno i muri a fermare chi fugge da guerra e povertà in Africa e Medio Oriente.
di Caterina Ghobert
Foto: Protest Photo, Flickr