Il 27 aprile 2014 la coalizione guidata dal VMRO-DPMNE di Nikola Gruevski si è aggiudicata la maggioranza dei seggi alle elezioni parlamentari. I seggi rimanenti sono stati spartiti tra la coalizione capeggiata dal Partito socialdemocratico di Macedonia (SDSM) di Zoran Zaev, l’Unione democratica per l’integrazione (BDI) di Ali Ahmeti, il Partito democratico degli Albanesi (PDSH) di Menduh Thaçi e altri partiti minori. Due giorni dopo, il secondo turno delle elezioni presidenziali ha visto vincere il candidato supportato dal VMRO-DPMNE, Djordje Ivanov. Nikola Gruevski è diventato il nuovo premier, mentre Zoran Zaev si è trovato politicamente a capo dell’opposizione parlamentere.
Sui conteggi elettorali l‘OSCE, a dispetto da quanto ventilato sin da subito dai socialdemocratici di Zaev, ha ravvisato solo alcuni vizi formali nel secondo turno delle presidenziali, i quali, peraltro, non avrebbero inficiato sul risultato finale.
L’opposizione ha comunque perseguito questa linea, e ha insistito sull’esistenza di brogli elettorali soprattutto per quanto riguarda l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, sulle quali avrebbe racimolato prove schiaccianti.
In un clima politico non proprio sereno i parlamentari dell’opposizione guidata da Zaev non si sono presentati alla cerimonia di insediamento di Gruevski, e hanno altresì presentato in giugno le proprie dimissioni.
Da lì Zaev ha esposto pubblicamente le richieste al governo, che nelle parole del leader socialdemocratico avrebbe dovuto dimettersi per dare spazio a un governo tecnico, il quale a sua volta avrebbe dovuto indire nuove elezioni.
In un clima di questo tipo si tenta sempre di attendere per poter mediare; Trajko Veljanovski, presidente del Parlamento, ha infine vagliato le richieste di dimissioni, dicendosi disposto a far subentrare i primi non eletti delle liste.
Ovviamente una manovra di questo tipo può causare enormi problemi alla stabilità del governo, e difatti non è stata tutt’ora messa in pratica; il problema ora è che la stabilità del governo Gruevski è pari solo all’immobilità dell’attività parlamentare, la quale è pressoché nulla. Lo sanno sin dall’inizio i parlamentari dell’opposizione, dal momento che qualora le loro dimissioni venissero accettate e venisse votata dalla maggioranza parlamentare la loro decadenza, il governo cadrebbe. Una mossa da fantapolitica che non sfiora la mente della maggioranza né tanto meno dello stesso Gruevski. Inattuabile non tanto per i suggerimenti dei report dell’UE tesi a evitare questa situazione, quanto piuttosto dalla mancanza di dialogo fra la maggioranza e l’opposizione.
Mancando una dialettica democratica fra i protagonisti questa situazione, non hanno tardato ad arrivare generali accuse al premier e al suo entourage. Gruevski è stato difatti accusato di frode immobiliare e non solo: il SDSM di Zaev ha pubblicamente annunciato di avere numerosi nastri di intercettazioni telefoniche sui leader del governo. In base a queste intercettazioni sembra che lo stesso Gruevski, il ministro dell’Interno Gordana Jankulovska e il capo dei servizi segreti macedoni Saso Mijalkov (peraltro parente del premier) controllavano l’agenda di giudici e procuratori. Sembra inoltre, stando alle dichiarazioni degli ultimi giorni di marzo del SDSM, che i servizi e Gruevski tenessero sotto stretto controllo le telefonate e i contatti telematici di alcuni giornalisti considerati scomodi, i quali, peraltro, hanno ricevuto dallo stesso Partito socialdemocratico il faldone di registrazioni che li riguardavano.
Una grave violazione di principi democratici che il premier ha banalmente ridimensionato, riducendoli a squallidi mezzucci dell’opposizione per destabilizzare internamente la Macedonia.