Non è stato un anniversario facile per il sesto presidente ucraino che ha festeggiato il primo anno dal suo insediamento in mezzo ad una nuova ondata di scontri nel Donbass, una situazione economica sempre più tetra e un clima politico pericolosamente teso attorno alla sua amministrazione. Con la popolarità in netto calo, il suo discorso annuale alla Verkhovna Rada è apparso più un tentativo di porre rimedio alla progressiva perdita di consensi che per indirizzare concretamente le numerose problematiche del paese. Eppure di questioni pratiche da affrontare ce ne sarebbero molte, non ultima la riforma costituzionale inerente alla decentralizzazione dei poteri statali, rimandata ormai da un anno e ulteriormente posposta dal presidente al prossimo autunno.
Strategia per il Donbass cercasi
Proprio intorno alle misure da intraprendere nei confronti dei territori sotto il controllo dei separatisti si è accesso negli ultimi giorni un aspro dibattito. Il governo appare intenzionato a proseguire, anzi a rafforzare, il blocco economico dei fazzoletti di terra occupati. Secondo le parole del leader del gruppo parlamentare del partito presidenziale (Blocco Petro Poroshenko), Yuriy Lutsenko, la strategia “per affrettare la reintegrazione dei territori occupati” deve procedere tramite il rafforzamento della linea di demarcazione e del blocco totale delle due regioni, insieme alla creazione di zone a sviluppo economico speciale a Kharkiv e Dnepropetrovsk. Il modello proposto dal governo è quello attuato dal governatore di Lugansk (della parte della regione che rimane sotto il controllo di Kiev), che ha chiuso di recente i punti di passaggio lungo la linea del fronte tagliando lo spostamento di persone e ogni collegamento economico con i territori della Repubblica Popolare di Lugansk. Secondo Lutsenko sarà questa la politica di Kiev fino alla completa demilitarizzazione della regione e alle seguenti elezioni dell’amministrazione locale secondo la legislazione vigente sul resto del territorio del paese.
Di parere diametralmente opposto è Aleksandr Kiktenko, generale delle forze armate ucraine e governatore del oblast’ di Donetsk dal ottobre del 2014. Kiktenko ha assunto una posizione critica nei confronti della politica governativa, opponendosi al totale blocco economico che rischia di trasformarsi, secondo la sua idea, in un’implicita e definitiva rinuncia alla sovranità sui territori e una violazione degli accordi di Minsk. In una recente intervista il governatore ha evidenziato nuovamente la sua preoccupazione per “la sordità del governo e per l’umore della società civile” nei confronti del Donbass. Secondo la sua opinione l’unica via d’uscita alla tragica situazione in cui si trova l’Ucraina occidentale è rappresentata dal mantenimento del dialogo e dei rapporti economici con imprese e cittadini che si trovano nei territori occupati. Kiktenko non ha perso l’occasione, inoltre, per esortato una maggiore collaborazione tra governo e autorità locali, sottolineando come in un anno gli sia stato impossibile incontrare direttamente il primo ministro per esporre le sue problematiche e concordare un’azione politica comune.
Una tale posizione critica del governatore non è passata inosservata a Kiev, dove già a metà aprile il Ministro degli Interni Avakov, braccio destro del premier all’interno del Fronte Popolare, lo aveva accusato di “collaborazionismo” promuovendo un’azione parlamentare nei suoi confronti. Appena qualche giorno fa, in effetti, il governo ha proposto formalmente il suo licenziamento per la presunta “incapacità di far fronte ai propri doveri“.
L’ascesa di “Misha”
In altre regioni le cose vanno diversamente. Non smette di sorprendere la rinascita politica di Mikheil Saakashvili che, insieme alle numerose nazionalità (pare debba rinunciare alla nazionalità georgiana per assumere definitivamente quella ucraina), sta collezionando anche diversi incarichi governativi. L’ex presidente georgiano, colpito da un mandato d’arresto in contumacia in patria, è stato nominato, infatti, nuovo governatore della regione di Odessa. Se in Ucraina i più maligni hanno visto nel suo nuovo incarico un espediente per evitare l’estradizione e addirittura un possibile trampolino di lancio per la futura corsa presidenziale, la notizia è stata accolta con particolare interesse anche da alcuni analisti vicini al Cremlino. Molti non hanno perso tempo, considerando anche il suo passato, per sottolineare come la nomina potrebbe avere effetti destabilizzanti sui rapporti con la confinante Transnistria.
Al di la delle varie speculazioni più o meno fantasiose, il compito di Saakashvili si preannuncia particolarmente difficile. Quella di Odessa è una delle regioni ucraine più importanti che dall’inizio degli eventi di Maidan e specialmente dal rogo nella Casa dei sindacati (2 maggio 2014) vive in un fragile equilibrio socio-politico. Il vecchio governatore, Igor Palytsia, aveva assunto il suo incarico appena un anno fa, proprio all’indomani della strage in cui morirono più di quaranta persone. Uomo fidato dell’oligarca Igor Kolomoisky, il businessman e politico nato a Lutsk ha rappresentato l’anello di congiunzione tra il mondo economico imprenditoriale, quello politico e quello criminale che affonda le proprie radici negli affari milionari del porto di Odessa. Saakashvili sarà chiamato a mantenere una posizione politica bilanciata mediando tra i contrastanti sentimenti che contraddistinguono la regione e intrecciando i difficili rapporti con l’ambiente politico economico legato al suo predecessore.
Proprio la lotta alla corruzione e al malgoverno, con i quali il politico si è contraddistinto durante il suo primo mandato presidenziale in patria, sono stati il punto focale del discorso d’insediamento a Odessa. L’auspicabile successo dipenderà, però, non tanto dalla sua fama, quanto dalla capacità di sfruttare il ruolo di attore super partes, riformando le strutture governative e economiche senza venire isolato inimicandosi l’establishment locale. Il compito, già di per sé arduo, non sarà probabilmente facilitato dal passato di Saakashvili. La sua retorica profondamente anti-russa e i difficili rapporti con il Cremlino, oltre ai forti legami con i “neocons” oltreoceano tra cui l’amico John McCain, potrebbero avere conseguenze negative sui delicati rapporti tra Kiev e Mosca e sulla stabilità dell’intera regione. Tra l’altro, appena qualche settimana fa proprio a McCain è stato ufficialmente offerto il posto di consulente all’interno del gruppo di consiglieri presidenziali capeggiato dallo stesso Saakashvili. Poltrona rifiutato dal senatore americano per “costrizioni costituzionali” che gli impediscono di ricoprire altri ruoli istituzionali in concomitanza con quello di senatore.
In effetti appare un po’ paradossale il fatto che, nel momento della più profonda trasformazione del tessuto sociale in senso patriottico degli ultimi venticinque anni, un cittadino georgiano accusato di abuso di potere in patria sia considerato come il personaggio più adatto per governare una regione strategicamente importante come quella di Odessa. Le ragioni per questa scelta potrebbero essere tante, molte delle quali evidenziano, però, la crescente debolezza del presidente.