Da YEREVAN – A due mesi esatti dal centenario del Genocidio si torna a parlare di Armenia. Ma questa volta la Turchia non c’entra – le diplomazie possono mettersi il cuore in pace – la questione non riguarda il passato e le sue ferite ancora aperte: il problema è qui, oggi, e ha tutti i tratti dell’emergenza. Perché – ed è una cosa che pare sfuggita ai tanti sostenitori dell’ultima ora della causa armena e a molti giornalisti – questo è un paese allo stremo. La povertà diffusa, le condizioni di lavoro insostenibili, soprattutto per i giovani, e lo strapotere di un ristretto nucleo di famiglie che monopolizza le poche risorse del paese, i cosiddetti oligarchi,stanno gettando il paese oltre il baratro della disperazione. E basta allora una goccia, una qualsiasi, a far traboccare il vaso.
All’origine di tutto, in questi giorni, è un aumento della bolletta dell’elettricità – il terzo in due anni – che è bastato a far scendere in strada migliaia di armeni, a organizzare sit-in e levare barricate nel centro della capitale. Un particolare importante: la distribuzione dell’energia elettrica del paese è di fatto un monopolioin mano a una compagnia russa, la Inter RAO. Questo getta una luce importante su un altro aspetto importante dell’attuale crisi: il rapporto di dipendenza sempre più stretto di Yerevan nel confronti della Russia, che ha conosciuto una nuova fase a gennaio, dopo l’adesione all’Unione Economica Eurasiaticavoluta da Putin. Al punto che oggi, a voler parlare ancora di un’indipendenza dell’Armenia, si rischia di attirarsi le facili ironie dei più maliziosi. E non è mancato allora chi, in queste ore, ha invocato unanazionalizzazione dell’elettricità, come ad esempio il vocalist dei System of a Down, Serj Tankian, armeno della diaspora da sempre molto attento all’evoluzione politica di Yerevan.
Solo qualche dato per comprendere la gravità dell’emergenza sociale: secondo due studi pubblicati alla fine del 2014 risultava che oltre il 40% della popolazione armena vivesse con meno di 2 dollari al giorno, e circa il 10% con meno di un dollaro, il tutto accompagnato da un notevole aumento delle disuguaglianze registrato dal coefficente di Gini. Ora, in quella che la rivista americana Forbes definì nel 2011 come la seconda peggiore economia la mondo, si è verificata di recente un’ulteriore battuta d’arresto, in seguito alla crisi economica che ha investito la Russia dopo la crisi ucraina. Con il risultato che, per la prima volta da molti anni, l’economia armena rischia di entrare in recessione in questo 2015, come predetto da diversi analisti.
Dietro l’aridità dei numeri ci sono naturalmente migliaia di storie di disagio e sofferenza, ed è la gioventù armena a pagare il prezzo più altro dell’attuale crisi. Disoccupazione alle stelle, stipendi risibili, turni di lavoro al limite del disumano, sfruttamento e precarietà diffusi a fronte di una forza lavoro spesso assai qualificata: una situazione tragica che oggi affiora in tutta la sua drammaticità. Non è la prima volta, certo: si erano verificate di recente proteste importanti in seguito all’aumento di prezzo dei mezzi di trasporto e alla riforma delle pensioni, sempre con protagonisti i giovani. Eppure, erano anni che non si verificavano in Armenia scontri e arresti di queste proporzioni [dalle proteste post-elettorali della primavera 2013, ndr]. E la protesta, iniziata il 19 giugno con un sit-in in piazza della Libertà, pare ancora lontana dall’esaurire la sua forza propulsiva.
Ma vediamo di riassumere in breve gli eventi di ieri. Alle luci dell’alba, dopo un sit-in di nove ore che aveva avuto luogo vicino alla residenza del presidente Sargsyan, in via Baghramyan, la polizia è entrata in azioneper disperdere i manifestanti. Per farlo, sono ricorsi a idranti e a squadre di agenti in borghese che hanno rimosso a forza i dimostranti dalla strada, malmenando anche molti di loro. Molti gli arrestati (237, secondo i dati forniti dalle autorità), caricati sulle camionette e portati in diverse stazioni di polizia della città. Colpiti anche diversi giornalisti, fra le cui fila si registrano diversi arresti, ma non solo: anche pestaggi, danni delle attrezzature, sequestro di sim-card e intimidazioni da parte della polizia.
In serata, alle 6 ore locali, la protesta è ricominciata, ancor più numerosa che nella giornata precedente. Non si registrano al momento scontri, ma la protesta non pare esaurita. E questo nonostante i limiti di questa iniziativa perlopiù spontanea, priva di leader in grado di rappresentare le richieste della folla. In serata, a Yerevan, sono scesi in strada celebrità, rappresentanti della società civile, politici dell’opposizione e persino del governo, cosa che ha provocato le proteste di molti, come nel caso del ministro dell’educazione Armen Ashotyan, ampiamente contestato.
L’immagine più bella della protesta pacifica di questi giorni sono i ragazzi armeni che cantano e ballanonelle strade della capitale, in questo inizio d’estate. Che cosa chiedano, aldilà del prezzo dell’elettricità e delle questioni politiche interne, lo raccontano bene i loro slogan: “Siamo i padroni del nostro paese!”, “Armenia libera e indipendente!” Un sogno, diranno alcuni.