Sono ventidue i morti, di cui 8 poliziotti e 14 uomini armati, al termine dell’operazione da più di 30 ore compiuta dalle forze di polizia tra sabato e domenica in un sobborgo residenziale di Kumanovo, nel nord della Macedonia. Altri 27 uomini armati sono stati arrestati, tutti tranne uno cittadini macedoni di etnia albanese, mentre sarebbero una trentina i poliziotti rimasti feriti nell’operazione. Tra i poliziotti rimasti uccisi, due erano di etnia albanese e due di etnia serba. Kumanovo è la seconda città del paese, nei pressi del confine con la Serbia e a 40 chilometri da Skopje, popolata per due terzi dei suoi 100.000 abitanti da macedoni slavi e per un quarto da macedoni di etnia albanese, oltre che da una minoranza serba. Il governo di Skopje ha indetto due giornate di lutto nazionale.
La polizia macedone ha iniziato un’operazione su larga scala con blindati e agenti in tenuta antisommossa contro un gruppo armato verso le 5 di mattina di sabato 9 maggio presso il quartiere di Divo Naselje, abitato prevalentemente da famiglie macedoni di etnia albanese. Secondo il ministero dell’interno, l’obiettivo era di “arrestare un ampio gruppo terroristico ben organizzato che stava preparando attacchi ad obiettivi strategici”. Sempre secondo fonti ufficiali, si sarebbe trattato di un gruppo armato infiltratosi da un “paese vicino” (il Kosovo, secondo il deputato governativo Antonio Miloshoski) e intenziato a “destabilizzare” la Macedonia. La polizia di confine kosovara, tramite il maggiore Baki Kelani, è stata tuttavia rapida nello smentire qualsiasi infiltrazione di uomini armati.
Le forze di polizia si sono così scontrate per tutto il weekend con un gruppo armato di 50-70 persone, mentre gli abitanti civili dei quartieri residenziali di Kumanovo sono stati fatti evacuare in tutta fretta. Il sindaco di Kumanovo, Zoran Damjanovski (che appartiene al SDSM, partito di centro-sinistra all’opposizione) è più volte intervenuto durante l’operazione invitando alla calma e alla concordia tra la popolazione. Come si è detto, Kumanovo è una città multietnica dove la convivenza tra persone di diverse nazionalità si è mantenuta anche dopo il conflitto del 2001. In un’intervista ad Al Jaazera Balkans, Damjanovski si è espresso così: “Dal 2001 non avevamo avuto nessuna crisi – ha continuato Damjanovski. Adesso è avvenuto qualcosa che nessuno si aspettava. Questo è uno shock per tutti noi a Kumanovo e per la nostra vita comune. Ho fiducia che torneremo quelli di prima, che Kumanovo resterà una città multietnica, che rispetta le differenze culturali e religiose.” Il sindaco aggiunge: “Adesso dobbiamo affrontare un problema enorme: un grande numero di abitanti della parte della città [dove sono avvenuti gli scontri] ha lasciato le proprie case ed è dispersa per la città e persino oltrefrontiera”. Da Kumanovo, infatti, centinaia di persone (circa 500, secondo una nota del premier serbo Vučić) si sono rifugiate a Preševo, città frontaliera della Serbia con un’ampia comunità albanese.
Le immagini delle auto in coda alla frontiera serbo-macedone (che è rimasta anche chiusa per qualche ora) e delle famiglie che lasciano in fretta e furia le proprie abitazioni hanno fatto il giro della regione jugoslava, creando apprensione e sconcerto. Molti hanno espresso parallelismi (pur con le dovute differenze) con gli esodi forzati delle guerre degli anni Novanta. Nel pomeriggio di domenica, una volta terminata l’azione di polizia, le autorità cittadine con la cooperazione dell’OSCE hanno iniziato un’operazione di “corridoio umanitario”, agevolando il rientro della popolazione evacuata, o allontanatasi volontariamente, delle zone degli scontri. A fine giornata, al rientro dei residenti, il quartiere coinvolto mostrava segni di vera e propria guerra urbana, con case sventrate e muri distrutti – per molti, un déjà-vu delle scene del conflitto del 2001, in cui le aree attorno a Kumanovo (ma non la città stessa) erano state teatro degli scontri tra le forze di sicurezza macedoni e la guerriglia albanese.
Le informazioni offerte dal governo macedone durante l’operazione, ai cittadini così come ai mezzi d’informazione, sono state ridotte al minimo. Il ministro degli interni Gordana Jankuloska ha tenuto una prima conferenza stampa in cui ha descritto l’azione in termini generali, mentre il primo ministro Nikola Gruevski è apparso solo al termine dell’operazione, in un’altra conferenza stampa in cui ha affermato di aver sgominato “il più pericoloso gruppo terroristico dei Balcani, con connessioni all’estero, e diversi membri con esperienza di guerra in Medio Oriente.” Il capo di stato Gjorge Ivanov è rientrato di fretta nel paese da Mosca, dove stava partecipando alle celebrazioni del 70° anniversario della vittoria alleata sul nazismo, e ha tenuto nella serata di domenica una sessione del Consiglio di Sicurezza Nazionale con i principali partiti politici macedoni, inclusi il leader dell’opposizione socialdemocratica Zoran Zaev e dei partiti albanesi DUI e DPA – il leader di uno dei quali, tuttavia, ha rifiutato di partecipare.
Non è chiaro perché la polizia macedone abbia avviato un’operazione su così larga scala senza informare adeguatamente e mantenere un dialogo aperto con la popolazione, né è chiaro quale tipo di operazione tale gruppo armato stesse organizzando, né se (come sembrano far temere le perdite tra le forze dell’ordine) tale operazione sia stato organizzata e condotta in maniera professionale. La mancanza di informazioni chiare ha anche portato alla nascita e diffusione di varie teorie del complotto. Da un lato, l’opposizione socialdemocratica e i media dei vicini Albania e Kosovo hanno interpretato il tempismo degli eventi come una tattica diversiva da parte del governo Gruevski, che avrebbe tutto l’interesse a spostare l’attenzione dalle proteste antigovernative in corso a Skopje, recuperando legittimità interna ed internazionale dal mostrarsi come unico baluardo contro il “terrorismo” e la destabilizzazione del paese. Data l’evidenza di ciò di cui è stato capace il governo Gruevski finora, dalle frodi elettorali alle intercettazioni di massa, sono in molti ad essere pronti a crederlo in grado di inscenare un conflitto o un attacco terroristico pur di restare al potere. Effettivamente le proteste sono continuate, a Skopje, ma silenziose ed in sordina, per rispetto della tragedia, e non è chiaro se la grande manifestazione prevista per il 17 maggio si terrà. Dall’altra parte, sui tabloid serbi e macedoni, si leggono interpretazioni fantasiose del conflitto a fuoco come di un piano di USA e UE volto a destabilizzare la Macedonia attraverso la guerriglia per impedire la realizzazione del gasdotto Turkish Stream.
Gli scontri a Kumanovo si inseriscono nella serie di incidenti di sicurezza in Macedonia occidentale negli ultimi mesi, di nessuno dei quali si è effettivamente accertate le responsabilità, e che avevano fatto temere per la risorgenza di una guerriglia nazionalista albanese in Macedonia occidentale, l'”Esercito nazionale di liberazione” (NLA), già legato tempo addietro alle reti del KLA/Uçk in Kosovo. Il 28 ottobre 2014, un edificio del governo veniva colpito da granate; la settimana successiva, il 3 novembre, degli sconosciuti in divisa controllavano i documenti d’identità dei passanti nell’area di Tetovo; il 10 dicembre, si segnalavano esplosioni alle stazioni di polizia di Tetovo e Kumanovo. Di recente, di nuovo, il 13 aprile 2015 un edificio governativo era preso a colpi di granate, e il 21 aprile le guardie del posto-frontiera di Gošince venivano rapite per alcune ore da 40 uomini armati. Il 3 maggio scorso una bomba esplodeva presso la sede del partito albanese macedone di governo DUI a Mala Recica, presso Tetovo. Infine, solo venerdì, i mezzi d’informazione riportavano di uomini armati in movimento nell’area tra Kumanovo e Kicevo. Resta possibile che un gruppo separatista armato stia cercando di avvantaggiarsi dell’instabilità politica nel paese, tuttavia è da sottolineare come la crisi politica resta separata dall’elemento etnico/comunitario. I leader della comunità albanese di Macedonia si sono subito dissociati dalle violenze, e nelle proteste di piazza così come nella vita di tutti i giorni a Kumanovo le relazioni tra le due comunità restano distese.
Durante l’operazione di polizia, i principali attori politici e sociali della comunità albanese in Macedonia, inclusi i due principali partiti DUI e DPA, hanno fatto appelli alla calma, chiedendo ai cittadini di non reagire ad eventuali provocazioni. La Comunità Islamica macedone, principale interlocutore confessionale, ha affermato che non avrebbe mai sostenuto alcuno sforzo volto a destabilizzare la situazione in Macedonia. Il ministero degli esteri del Kosovo ha condannato “la violazione dell’ordine e della sicurezza da parte di qualunque individuo o gruppo con intenti di destabilizzazione in Macedonia”. Ugualmente, il ministero degli esteri dell’Albania ha condannato gli atti di violenza e richiamato alla calma, “nella piena convinzione che l’escalation deve trovare fine, poiché essa non serve alla stabilità democratica e prosperità della Macedonia. Il ministro degli esteri serbo Ivica Dacic, presidente di turno dell’OSCE, ha dichiarato di “condannare la violenza nella forma più forte ed esprimere sgomento per il suo impatto in termini di vite umane”. La Serbia ha anche rafforzato le sue forze di polizia al confine.
Per quanto riguarda gli attori internazionali, il Commissario UE all’allargamento Johannes Hahn ha chiamato alla moderazione, sollecitando “le autorità e i leader politici e comunitari a collaborare, ristabilire la calma, e investigare in maniera completa gli eventi in una maniera obiettiva e trasparente, secondo la legge”. Il ministero degli esteri della Russia ha affermato di augurarsi la normalizzazione della situazione, denunciando poi le recenti proteste antigovernative a Skopje come un piano per una “rivoluzione colorata” in Macedonia attraverso ONG finanziate da occidente che potrebbe peggiorarne le relazioni interetniche.
La Macedonia si trova in una situazione politica delicata sin da febbraio, quando il partito di governo VMRO ha accusato l’opposizione socialdemocratica di tentato colpo di stato per la pubblicazione di intercettazioni che rivelano una trama di corruzione, frode elettorale, pressioni sui media e sulla magistratura e tendenze autoritarie da parte del governo Gruevski, oltre alle prove di un programma massiccio di ascolto attraverso cui il governo avrebbe intercettato oltre 20.000 persone. Negli ultimi giorni, le proteste a Skopje sono ricominciate, in maniera assolutamente inter-etnica, sotto lo slogan #protestiram, dopo la rivelazione dell’insabbiamento da parte del governo dell’inchiesta sulla morte del giovane Martin Neskovski, 22enne ucciso da un poliziotto durante le celebrazioni post-elettorali del 2011. L’opposizione chiede le dimissioni del governo e la formazione di un governo tecnico che traghetti il paese a nuove elezioni, questa volta libere e democratiche. Il governo rifiuta ogni imputazione e a sua volta accusa l’opposizione di aver ottenuto illegalmente i nastri delle intercettazioni da parte di servizi segreti stranieri (sottinteso: greci) interessati a destabilizzare il paese.
Dal termine del breve conflitto armato che oppose governo di Skopje e guerriglia albanese nel 2001, fermato dagli accordi di Ohrid (Ocrida) mediati dall’UE, la Macedonia è governata con un sistema consociativo che assicura ampia protezione ai diritti delle comunità minoritarie (albanesi o slavo-macedoni) in ciascuna municipalità del paese. Inoltre, al governo si alternano coalizioni multietniche tra un partito macedone (il conservatore VMRO e il socialdemocratico SDSM) e uno dei due partiti della comunità albanese (rispettivamente DUI e DPA), in quella che è considerata una delle best practice nella regione. Ciò non ha tuttavia impedito una regressione democratica negli ultimi anni.
Dal 2005 la Macedonia è paese candidato all’ingresso nell’Unione europea, ma la continuazione della metafisica disputa sul nome che la oppone alla Grecia (Atene rifiuta di riconoscere il nome ufficiale usato da Skopje, “Repubblica di Macedonia”, che considera un’usurpazione dei propri diritti storico-culturali) ormai da dieci anni impedisce al paese di fare progressi nell’integrazione euroatlantica. Nel frattempo, a partire dal 2006, il governo di Nikola Gruevski ha preso una piega sempre più autoritaria. Se fino all’anno scorso la Commissione europea, nei suoi progress report annuali, scriveva che “le condizioni politiche [per l’apertura dei negoziati d’adesione] continuano ad essere sufficientemente soddisfatte”, è chiaro che il 2015 dovrà condurre ad un ripensamento. L’attuale livello di coinvolgimento, basato sulla mediazione politica da parte di tre eurodeputati, non è evidentemente sufficiente. Nonostante l’attenzione del servizio diplomatico UE sia oggi volta soprattutto all’Ucraina e alla crisi nel Mediterraneo, gli scontri in Macedonia dimostrano come non esista una “negligenza benigna”. Secondo James Ker-Lindsey, l’UE dovrebbe intervenire a più alto livello, proponendo una soluzione politica della crisi, con un governo tecnico che traghetti il paese ad elezioni anticipate che siano libere e democratiche, e allo stesso tempo convincendo la Grecia a levare il veto all’apertura dei negoziati d’adesione, nelle more di una soluzione negoziata alla questione del nome, poiché “la stabilità politica del suo vicino settentrionale è ben più importante per i suoi interessi rispetto all’attuale agitazione e ad un possibile conflitto”.
Foto: AFP