Scontri a fuoco si sono registrati a Kumanovo, città di circa centomila abitanti al nord della Macedonia, nei pressi del confine con Serbia e Kosovo. Il numero di vittime è imprecisato. Alcune fonti parlano di tre poliziotti e di due o tre civili uccisi, e di circa venti feriti. Secondo la versione ufficiale riportata dal ministero dell’interno macedone, l’attacco sarebbe stato effettuato da un gruppo armato di circa settanta uomini di cui, al momento, non è nota la provenienza né l’appartenenza politica. In seguito all’attacco, sarebbero intervenute le forze di sicurezza nelle prime ore della giornata. Secondo quando dichiarato nella serata del 9 maggio dalla ministra degli interni, Gordana Jankulovska, i morti sarebbero cinque e tutti poliziotti, e circa trenta i feriti. Colpi di arma da fuoco si sono registrati anche nella mattina del 10 maggio.
Le autorità militari macedoni sono intervenute rapidamente con elicotteri e mezzi blindati. Un’operazione militare su larga scala era già stata lanciata alla fine di aprile a seguito di un attacco ad un posto di polizia di confine, nella località di Gošince. L’attacco era stato attribuito dalle autorità a paramilitari kosovari appartenenti all’Uçk, formazione albanese-macedone che combatté una breve guerra nel 2001 e che era imparentata con il più noto Uçk kosovaro. Coincidenza: proprio a Kumanovo, il 9 giugno 1999, veniva siglato l’accordo che concludeva la guerra del Kosovo. Oggi, 9 maggio 2015, la città è al centro di scontri che il ministro dell’interno macedone ha attribuito a “terroristi di un paese vicino” con evidente riferimento al Kosovo.
Da quattro giorni nel paese, e soprattutto a Skopje, sono in corso manifestazioni contro il governo guidato da Nikola Gruevski, leader del partito nazionalista VMRO, al centro di fortissime polemiche e accusato dall’opposizione di corruzione ma soprattutto di avere impresso una svolta poliziesca e autoritaria al proprio esecutivo. Da mesi i media soffrono la censura governativa e i giornalisti indipendenti vengono minacciati di morte anche da esponenti del VMRO; la magistratura è tenuta al guinzaglio del governo e la polizia reprime con brutalità ogni dissenso. La morte del ventiduenne Martin Neshkovski, picchiato dalla polizia e ucciso dall’agente Igor Spasov durante le celebrazioni post-elettorali del 2011, sembra essere stata ampiamente insabbiata dall’esecutivo, almeno queste sono le accuse dell’opposizione.
Le manifestazioni in corso a Skopje vedono unite le due comunità, la maggioranza slavo-macedone e il 25% della popolazione di etnia albanese. Dopo la breve guerra del 2001 e i successivi accordi di Ohrid, i rapporti tra le due comunità non sono stati sempre buoni anche a causa dell’operato del governo che ha esasperato le tensioni, usandole per mantenere il consenso politico tra gli slavo-macedoni. Il carattere unitario di queste proteste è quindi estremamente significativo ed estremamente pericoloso per il governo Gruevski. Il governo tradizionalmente ha fatto affidamento sulle tensioni etniche allo scopo di instillare paura e insicurezza tra la popolazione e riguadagnare consensi attraverso una retorica fortemente nazionalista.
Come già nel caso dell’attacco di Gošince, serpeggia il dubbio che l’attacco sia in qualche modo diretto dall’esecutivo al fine di spaccare il fronte della protesta agitando lo spettro della guerra civile. Chiarimenti in tal senso potranno venire dall’evolversi degli eventi nelle prossime ore.
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