"Venti anni non basta". Impressioni dalla Bosnia-Erzegovina

All’inizio di maggio, 29 studenti di vari istituti scolastici superiori piemontesi hanno visitato alcuni significativi luoghi della Bosnia-Erzegovina, come premio per l’ormai trentennale Concorso di storia contemporanea promosso dal Comitato “Resistenza e costituzione” della Regione Piemonte. La ricerca che gli studenti hanno condotto nei mesi che hanno preceduto il viaggio-studio mirava a sviluppare il tema “Bosnia: cuore di un’Europa dimenticata”. 
Tra i vincitori del concorso erano presenti anche cinque studenti della classe 5ª B del Liceo Scientifico I.M.I. di Pinerolo (To). Tra loro, la diciannovenne Carlotta Favaro ci ha scritto e inviato le sue impressioni, che volentieri pubblichiamo.

È a seguito di un lungo viaggio per terra e per mare che arrivo in Bosnia-Erzegovina. Sono incuriosita di vedere com’è il paese sul quale negli ultimi mesi con alcuni miei compagni ho svolto un progetto di storia contemporanea. E quindi guardo fuori dal finestrino del pullman, per osservare e per pensare: che cosa mi aspetto? Che cosa mi aspetta? Che cosa sto guardando? Che cosa sto vedendo?

Mi aspetto il cuore dell’Europa, mi aspetta un paese per mostrarmelo; sto guardando delle bellissime alture verdeggianti disseminate di piccole cittadine e sto vedendo… Ecco, cosa sto vedendo non riesco a definirlo precisamente. Case appena ricostruite o in via di ricostruzione che mi passano l’idea di difficoltà a risollevarsi ma tenacia nel farlo. Questa, in sintesi, la mia prima impressione sulla Bosnia-Erzegovina; il paesaggio si ripete molto simile per chilometri finché non arriviamo a Mostar.
Lungo il Boulevard, la ex linea del fronte, i segni della guerra sono ancora ben visibili. E non solo sugli edifici: Tamara, la guida locale croata, ci dice nel suo italiano leggermente imperfetto che anche per le persone venti anni non basta. Parla di come ci sia la pace, quella sì, ma per l’amore… per quello aspettiamo ancora un po’ di tempo, dai. Dopotutto, croati, musulmani… siamo uguali , non c’è differenza. È un discorso semplice, il suo, pronunciato con un sorriso: quel sorriso di chi la Bosnia unita non solo geograficamente la vuole davvero ma non sa se poterci credere fino in fondo a causa della propria esperienza. Almeno, questo è quello che mi pare di intendere, ma non sono sicura di aver compreso davvero Tamara. E nemmeno Mostar. Mostar che è fai due passi e trovi una moschea, ma guarda il cielo e vedi il campanile, non mi ha fatto capire se tutti quei simboli religiosi -non da ultimo, l’enorme croce sulla montagna- testimonino accettazione o accentuazione delle differenze.
Quello che so è questo: da una affascinante ed enigmatica Mostar porto via, insieme a un souvenir, quattro parole, come una cantilena: venti anni non basta.
Ed è con la voce di Tamara impressa nella mente che l’indomani mattina mi appresto a visitare Sarajevo, città che sono davvero impaziente di vedere. La traccia del progetto di storia invitava a riflettere sulla Bosnia come cuore di un’Europa dimenticata, e mi son fatta l’idea che se questo cuore lo vogliamo vedere allora Sarajevo è il posto giusto dove recarsi.  Conosciamo la città con l’aiuto di Fuad. È un ragazzo poco più che trentenne che parla di sinagoghe, chiese e moschee come case di Dio, perché siamo tutti sotto lo stesso cielo. Che dice che noi e loro siamo vicini di casa, aggiungendo con un sospiro: anche se questo forse in Italia non lo sapete. Che con entusiasmo ci nomina piccoli ambasciatori multiculturali, perché -come sta scritto su un monumento in Trg Oslobođenja-  l’uomo multiculturale costruirá il mondo. Che ci spiega che l’odio è inutile, in quanto odi fino a mezzogiorno poi odi te stesso. Ma è anche lo stesso ragazzo che dell’Europa sa che durante l’assedio li ha lasciati soli e che afferma che i sarajevesi non si sentono così simili ai serbi qua vicino. Quando lo dice penso: anche per lui venti anni non basta. Gli chiedo: Se dovessi dirmi in una parola… Sarajevo venti anni dopo? Ci pensa su qualche secondo e poi risponde: Sarajevo ha vinto! Ha vinto la multiculturalitá. E questa sua convinzione mi fa pensare che, sì, a causa delle ferite ancora aperte, venti anni non bastano, ma c’è una gran voglia di farli bastare. Odi fino a mezzogiorno, no? E poi invece di odiare te stesso puoi capire che non esiste alternativa tra il massacro e la coabitazionecome scrive Paolo Rumiz a proposito del mito  di  Europa, la  terra  del  tramonto  dove  i  popoli  si  ammassanoA Sarajevo hanno scelto la coabitazione, e ne hanno fatto risultare non un insieme di contraddizioni, ma un’armonia di diversità. Nessuno sembra essere fuori posto in questa città, dal vecchietto che, con calma, sorseggia caffè turco all’orda di studenti estatici per la fine delle lezioni, dalla ragazza con il velo all’amica che le si accompagna a capo scoperto (guardalo lì il fantomatico Islam europeo!). Quello che ne è risultato ai miei occhi è – e devo dire che non me lo aspettavo – un’idea di libertà e la sensazione di sentirsi al proprio posto, chiunque si sia. 
Cosa mi porto via dalla Bosnia, oltre a due cartoline e un centinaio di fotografie? La voglia di tornarci un giorno, lì dove ho visto l’Europa che si sta costruendo.

Photo credit: Keen!

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3 commenti

  1. Il detto dice: “Fino a mezzogiorno odia se stesso, e da mezzogiorno in poi, se stesso e tutto il mondo.” (riferito a un misantropo)

    • Ringrazio per la segnalazione!

      La versione da lei proposta la prendo come uno spunto per riflettere: se un detto riferito alla misantropia è stato distorto (solo da Fouad? o da più persone in Sarajevo?) sino a diventare un’invito a deporre ogni odio, significa che il modo di pensare (di nuovo: solo di Fouad? o di più persone in Sarajevo?) più che alla misantropia guarda alla pacifica coesistenza.

  2. Concordo.
    Dieci anni fa ho visitato Sarajevo, Mostar, Sebrenica… muri ancora martoriati dai proiettili.

    Due immagini però mi ritornano alla mente e mi sono care..

    Un giovane che ci invitava ad avere speranza e a costruire il proprio paese che verrà ed un bambino innocente che correva nudo e con degli stivali di gomma rossi alla periferia di un campo ROM di Sarajevo.
    Terra strana e magica la Bosnia.

    Emanuele

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