di Matteo Zola
L’Azerbaijan teme il contagio, la febbre della rivoluzione araba potrebbe arrivare fin lì ed è bene premunirsi. Prevenire, diceva qualcuno, è meglio che curare. Ed ecco bell’e pronto un pacchetto di misure anti-corruzione varato dalla Commissione anti-corruzione, organo istituito nel 2009 e mai riunitosi. Fino ad oggi. Il pacchetto prevede blande manovre per ridurre la corruzione “visibile”, quella che la gente percepisce e subisce direttamente. Così si vieta alla polizia stradale locale di riscuotere dai conducenti multe in contanti e ai dipendenti pubblici è stato raccomandato “di evitare di irritare la popolazione e di lavorare efficacemente per incrementare la fiducia pubblica nei confronti delle istituzioni”. Poca roba per una cleptocrazia come quella azera.
Ufficialmente il governo ha negato che ci siano collegamenti tra le rivolte arabe (e il timore di un contagio) e le misure anti-corruzione. Tutto d’un tratto, però, i ministeri hanno apertamente accettato l’esistenza della corruzione e hanno promesso di affrontare la questione. Sono partiti i primi licenziamenti di funzionari inoperosi, insegnanti corrotti, medici che si facevano dare mazzette dai pazienti. Secondo il blogger Ali Novruzov, però, sarebbero nominativi di persone decedute.
Anche qui un efficace strumento di comunicazione e organizzazione della protesta è, naturalmente, internet. Così gruppi di giovani hanno iniziato a discutere online delle proprie iniziative. In uno di questi casi, un giovane membro del Fronte Popolare dell’Azerbaijan, Jabbar Savalanly, ha invitato i suoi amici su Facebook ad unirsi a lui in quello che ha chiamato “Giorno della rabbia”. Savalanly è stato arrestato un mese più tardi per possesso di droga.
“L’Azerbaijan è un Paese democratico, per cui nulla di simile a quanto accade in Nord Africa potrà mai avvenire da noi”, ha dichiarato il presidente Ilham Aliyev. La protesta però continua a muoversi sottotraccia e per il prossimo 11 marzo è prevista una manifestazione di piazza di cui è difficile prevedere la portata ma, probabilmente, non si tratterà di una grande rivoluzione anche perché il regime di Aliyev gode di un certo credito. Lo si vede bene proprio su Facebook e Twitter dove molte sono le voci contrarie alla rivolta.
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