BOSNIA: Incostituzionale la legge elettorale sui vicepresidenti. Un altro passo verso la decostruzione dell'etnopoli

Con una maggioranza di 5-4 la Corte Costituzionale della Bosnia-Erzegovina ha deciso che il sistema elettorale per eleggere i membri della presidenza delle entità è incostituzionale. Le regole in questione riguardano il fatto che i vice-presidenti delle entità devono appartenere ad uno dei tre popoli costitutivi, escludendo coloro che non vi appartengono o non vogliono dichiarare la loro origine etnica. La sentenza, disponibile in bosniaco/serbo/croato con breve sintesi in inglese, depositata durante la camera di consiglio di fine marzo, è importante sia sul piano politico che giuridico.

Sul piano politico la sentenza aumenta la pressione sui leader dei principali partiti bosniaci per modificare sia la costituzione dello stato centrale che quelle delle entità. È una vittoria per l’ex presidente Komšić (politico del partito socialdemocratico eletto come membro croato-bosniaco della Presidenza dal 2010 al 2014), che ha portato il caso dinanzi alla Corte Costituzionale. Fino alla sentenza, la Corte Costituzionale aveva respinto i numerosi ricorsi volti a de-etnicizzare e liberalizzare il sistema politico bosniaco.

La sentenza è forse ancor più significativa sul piano giuridico. Infatti, per la prima volta la Corte Costituzionale ha decretato il primato della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) su una norma costituzionale chiara ed inequivocabile. La Corte ha dichiarato che il sistema elettorale per la presidenza delle entità vìola sia il principio di non-discriminazione a livello europeo (Protocollo 12 CEDU) che quello a livello nazionale (Art 2.4 Costituzione). In questo caso, l’articolo 2.4 della costituzione bosniaca è stato interpretato alla luce della CEDU. Nelle precedenti sentenze la Corte, guardiano della Costituzione nazionale, si era sempre rifiutata di ammettere tale primato, sia in sede di ammissibilità che di merito.

Inoltre, la Corte è andata oltre la sentenza storica sui popoli costitutivi. La messa in atto di tale decisione, avvenuta con gli accordi di Mrakovica-Sarajevo del 2002, ha esteso il sistema istituzionale di codecisione etnica dallo stato centrale alle entità. Questo verdetto era più che giustificato, dato che bosgnacchi e croato-bosniaci erano tagliati fuori da ogni potere decisionale nella Republika Srpska, così come i serbo-bosniaci nella Federazione di Bosnia-Erzegovina (le due entità che costituiscono il paese, ndr). Ma mentre la sentenza sui popoli costitutivi stabiliva la loro parità su tutto il territorio dello stato, coloro che non si riconoscevano in nessuno dei tre, i cosiddetti “altri” (ostali), rimasero esclusi, aprendo la porta alla saga di Sejdic e Finci.

In questo primo caso post-Sejdić la Corte Costituzionale aveva in sostanza tre opzioni. La prima era di rigettare il ricorso, richiamando la sua precedente giurisprudenza di merito oppure delegando la decisione alle corti costituzionali delle entità. La seconda era di rigettare il ricorso per ragioni procedurali, ovvero esaminare il ricorso soltanto qualora il legislatore non avesse messo in atto la sentenza di Strasburgo a livello delle entità. I quattro giudici dissenzienti, tutti croato-bosniaci e serbo-bosniaci, hanno fatto riferimento a entrambi questi punti. La terza opzione, quella intrapresa dalla maggioranza (due giudici bosgnacchi e tre giudici internazionali), era quella di dichiarare incostituzionale il sistema di elezione per le posizioni di vice-presidente della entità.

La Corte costituzionale in sostanza ha seguito il ragionamento della Corte di Strasburgo in Sejdić-Finci. Per Strasburgo, una discriminazione etnica è paragonabile ad una discriminazione razziale. Per giustificare questa discriminazione, lo stato deve avere uno scopo legittimo molto importante. Per la Corte di Strasburgo e per la Corte bosniaca, il sistema di divisione di potere su base etnica persegue uno scopo legittimo, quello della pacificazione in Bosnia, ma non basta. Infatti, continua il ragionamento della Corte, lo stato bosniaco deve evolvere verso altre forme di democrazia consociativa che costituiscono un’interferenza meno grave sui diritti fondamentali dell’individuo. Mentre nei casi pre-Sejdić due dei tre giudici internazionali si erano espressi contro il primato della Convenzione sul diritto costituzionale nazionale, in questa decisione tutti i giudici internazionali si sono schierati con Strasburgo.

La Corte però non ha deciso né di annullare la legge elettorale, né di richiedere al parlamento di mettere in atto subito la sentenza. Pur incostituzionale, la Corte richiede al legislatore di trovare una soluzione solo dopo aver messo in atto la sentenza SejdićFinci. Visto che i partiti bosniaci dal 2009 non hanno ancora trovato una soluzione a questa ardua questione, non è chiaro come e quando e come la Bosnia e le sue entità adegueranno la loro costituzione alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Inoltre, i politici della Federazione devono rivedere anche il sistema delle “due scuole sotto un tetto”, dichiarato incostituzionale dalla Corte Suprema della Federazione.

Chi è Stefan Graziadei

Dottorando in diritto internazionale all'Università di Anversa

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