Atene si prepara ad un ennesimo incontro con l’Eurogruppo – fissato per oggi, lunedì 11 maggio -, durante il quale il governo greco proverà ancora una volta a convincere le istituzioni europee della bontà del proprio piano e queste ultime cercheranno nuovamente di cambiarlo, inserendovi misure più drastiche. Insomma, ognuno tirerà l’acqua al suo mulino; un teatrino a cui siamo ormai abituati da tempo, da troppo tempo, ma a cui purtroppo né noi, né i cittadini greci possono sottrarsi.
7,2 miliardi di euro. E’ questa la cifra magica di cui Atene ha bisogno per non essere costretta a dichiarare default. Chi può prestare una tale quantità di denaro? Il governo targato Tsipras ha battuto altre strade, muovendosi anche ad est, verso Mosca e Pechino, ma tornando solo con alcuni – seppur importanti – accordi commerciali. La Russia e la Cina non hanno né la voglia, né le possibilità di accollarsi l’intero debito di Atene, troppo oneroso. Inoltre, se da una parte metterebbe sotto scacco l’Unione europea, dall’altra questo gesto di sfida renderebbe ancora più difficili i rapporti con “il mondo occidentale”, e il gioco non varrebbe la candela. Quindi solo la ex-Troika – FMI, BCE, UE – può far vivere o far morire la penisola greca.
Un gioco al massacro
“Né la Germania, né la Troika possono essere ritenuti responsabili per i problemi di Atene”, ha affermato il ministro delle finanze tedesco Schäuble. Ed in buona parte è vero: i difetti dell’economia greca sono endogeni e sono dovuti a una bassa diversificazione, a una mancanza di materie prime, a uno spreco di risorse economiche che hanno portato a buchi di bilancio spaventosi, a riforme previdenziali e del lavoro in generale molto “di sinistra”, a opere enormi che hanno completato il disastro – vedi le olimpiadi del 2004: 15 miliardi gettati al vento, che portarono la Grecia a passare da una crescita annua del 4% a una dello 0,7% nel biennio 2005-2006 -, nonché a imbrogli nei conti dello stato per entrare in quell’eurozona da cui molti adesso vorrebbero scappar via.
Quindi Schäuble ha ragione, ma questa è solo una parte dell’insieme; a braccetto vanno gli scarsi controlli effettuati all’epoca sui conti greci – Prodi ha recentemente sostenuto di aver fatto presente, all’epoca in cui era presidente della Commissione, a Germania, Francia e Italia che la Grecia stava sforando il famoso tetto del 3%, ma di non essere stato ascoltato -, le riforme sbagliate dell’austerity – e dire che in Portogallo e in Irlanda però hanno funzionato significa non saper distinguere le diverse economie del vecchio continente -, che hanno portato il paese, culla dell’Europa, al disastro a cui assistiamo da alcuni anni.
Ma nonostante sia stato ormai acclarato che le politiche di austerity non funzionano – o almeno non funzionano per far ripartire l’economia greca, certamente sono utili per tenere sotto scacco il paese -, la Troika non si ferma e continua a pretendere la macelleria sociale: una correzione pari al 20% del PIL in 12 manovre finanziarie, una riduzione del numero di dipendenti pubblici di 150.000 unità, il passaggio dell’IVA dal 13 al 23% su un largo numero di beni di consumo e una maggiore imposizione su abitazioni e carburanti, privatizzazioni per un ammontare complessivo di 50 miliardi, tagli alla sanità corrispondenti al 20% e riduzione del numero dell’entità dei rimborsi per i farmaci, taglio delle tredicesime e quattordicesime, riduzione dello stipendio minimo per i lavoratori e aumento dell’età pensionabile.
Infine, c’è stato anche qualcuno che ha proposto di non pagare stipendi e pensioni pubbliche fino a quando l’economia greca non ricominci a crescere. A queste proposte, il governo ha risposto con la riassunzione di 13mila statali, ovvero una parte di quei lavoratori (vigili, bidelli, insegnanti) licenziati senza giusta causa dal precedente governo Samaras, e il ministro delle Finanze greco Yanous Varufakis ha bollato come “semplicemente vergognose” le richieste dei creditori esteri. E noi ci permettiamo di assentire.