Il 10 maggio la Polonia inaugurerà “l’anno delle elezioni” aprendo i seggi che decreteranno il prossimo Presidente della Repubblica. Politicamente meno rilevanti delle elezioni parlamentari del prossimo ottobre, le presidenziali saranno comunque un momento importante per il paese e un significativo banco di prova per i partiti coinvolti nella successiva corsa, quella al governo. Ciò spiega l’interesse verso questa consultazione elettorale nonostante si conosca già il nome del vincitore.
Il grande favorito è infatti il Presidente uscente, Bronisław Komorowski, in carica dal 2010 quando ebbe la meglio (di poco) su Jarosław Kaczyński, candidato di Diritto e Giustizia (PiS, Prawo i Sprawiedliwość, destra ECR) e fratello di Lech Kaczyński, il Presidente deceduto nell’incidente di Smolensk. Sebbene in quell’occasione sia stato il candidato di Piattaforma Civica (PO, Platforma Obywatelska, centro PPE), stavolta Komorowski ha preferito presentarsi come “il presidente di tutti i polacchi” optando quindi per una strategia apartitica che gli permette di godere del sostegno di PO senza esserne il diretto candidato, una manovra per tenere stretti a sé i polacchi stanchi di un partito al governo dal 2007.
Questa precauzione potrebbe limitare il fortunato momento politico del partito di Ewa Kopacz (Primo Ministro da quando Donald Tusk è stato eletto Presidente del Consiglio europeo) oppure evitare che la delusione derivante da una mancata vittoria al primo turno possa influire negativamente sulle sfide future di Piattaforma Civica. E’ probabile infatti che non si raggiunga la maggioranza assoluta al primo turno e che si passi al testa a testa tra Komorowski e il suo principale avversario, Andrzej Duda, candidato del PiS.
Gli ultimi exit poll parlano di un 46% per il primo e di un 24% per il secondo che ha, ad ogni modo, guadagnato qualche punto percentuale rispetto ai sondaggi di gennaio e febbraio. Questa non sottovalutabile avanzata è forse frutto dell’immagine che Duda stesso ha dato di sé: un leader giovane ed energico capace di rassicurare la base del partito definendosi il successore di Lech Kaczynski, icona ormai sacra della destra polacca. Il richiamo, quindi, all’ultra-conservatorismo – specie in materia di libertà individuali – e all’euroscetticismo rasserena i nostalgici dell’era pre-Smolensk ma, vista la mancanza di esperienza politica, non pare sufficiente ad ottenere la legittimità del defunto Kaczynski.
Innocui invece gli altri candidati. Sulla soglia che oscilla tra il 4% e il 6% si attestano Paweł Kukiz, indipendente, cantante e attivista, e l’eccentrico Janusz Korwin-Mikke, estremista di destra, che difficilmente riuscirà a ripetere il risultato delle europee del maggio scorso (attorno al 7%) dopo che a causa di un conflitto interno al suo ex-partito, il Congresso della Nuova Destra (KNP, Kongres Nowej Prawicy), ha fondato un proprio movimento, la Coalizione per il Rinnovamento della Repubblica – Libertà e Speranza (KORWiN, Koalicja Odnowy Rzeczypospolitej Wolność i Nadzieja).
Un po’ più in basso si collocano Adam Jarubas, leader del Partito Popolare Polacco (PSL, Polskie Stronnictwo Ludowe) e gli altri due candidati collocati alla sinistra dello spettro politico: Janusz Palikot de Il tuo Movimento (TN, Twój Ruch) e Magdalena Ogórek, candidata dell’Alleanza della Sinistra Democratica (SLD, Sojusz Lewicy Demokratycznej) e spesso al centro dei riflettori per le sue apparizioni televisive passate e per il suo bell’aspetto. Lontana dall’elettorato medio del suo stesso partito, mediamente avanti con l’età e legato al passato regime comunista, la Ogórek vuole parlare ai giovani per porsi come volto nuovo nella scena politica polacca ma il risultato è stato deludente e la candidata del SLD ha addirittura perso un paio di punti percentuali nelle ultime previsioni. Il partito ha interrotto le sovvenzioni alla sua campagna: ufficialmente perché i fondi sono già stati trasferiti; per le malelingue rivali, invece, è stata una scelta dettata dagli sconfortanti pronostici.
Ma quanto influisce il Presidente nella Repubblica polacca? La sua figura non è determinate – dato che detiene una forza più morale che politica – ma ha la capacità di influenzare, nei suoi cinque anni di mandato, le leggi in corso di approvazione usando il suo diritto di veto (superabile comunque con i tre-quinti del Parlamento). Tuttavia, i temi intavolati durante la campagna elettorale sono tutt’altro che irrilevanti e potrebbero influire sugli indirizzi governativi futuri. Oltre il già citato e spinoso dibattito sulle libertà individuali, la crescente emigrazione dei giovani polacchi, non controbilanciata dall’afflusso di stranieri come per gli altri paesi europei, e la questione della sicurezza alla luce delle vicende ucraine sono i temi che hanno animato il confronto.
E poi c’è l’euro. Komorowski ha annunciato di voler aprire un dibattito sull’ingresso della Polonia nell’eurozona magari attraverso un referendum, ma le critiche non arrivano soltanto dai suoi avversari. Svalutando lo zloty la Polonia è rimasta competitiva rispetto ai suoi rivali commerciali e ha evitato la recessione. E’ questo il motivo principale per cui lo stesso Primo Ministro, Ewa Kopacz, si è mostrata scettica al riguardo, e gli altri membri di PO non sembrano pensarla diversamente, sebbene l’Ue spinga in tal senso e lo stesso ex Primo Ministro Tusk si fosse detto favorevole a una consultazione popolare.